Le unità di misura siciliane: Zeru pi zeru?

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Continua il nostro viaggio tra le particolarità del dialetto siciliano. Oggi vorrei che focalizzaste la vostra attenzione sulle unità di misura tipicamente siciliane. Oltre al metro, litro, e chilogrammo, il nostro dialetto ci ha tramandato unità di misura e di calcolo ormai entrate di diritto nella nostra vita quotidiana.
Vi viene in mente qualcosa? Provate a dare un peso preciso a un caddozzu di salsiccia! Impossibile.
Siamo in grado di regolarci senza utilizzare bilance perché un caddozzu è un caddozzu, senza tanti giri di parole.
Generalmente alla domanda: “quant’è?” ci sentiamo rispondere: “un ti scantari ca un ti cunsumi”, e se proviamo ad insistere: “sì ma quant’è?”, la risposta sarà: “Ma chi po’ essiri”. Niente, non ce la facciamo proprio ad adeguarci alle unità di misura convenzionali. Facciamo tutto ad occhio. Un po’ come il salumiere che dice: “E’ tecchia superchiu”, e poi ci accorgiamo che il suo tecchia si traduce in 120 gr di mortadella in più rispetto a quanto ne avevamo chiesto.
Ma salumiere a parte, scopriamo insieme gli antichi, ma sempre in voga, sistemi di misurazione.

• Il sistema metrico. Un tumminu corrisponde a circa 2000 metri a seconda, però, della corda (di Ribera, di Caltabellotta, o Sciacca); una sarma corrisponde a sedici tummini; quattro munnedda formano un tumminu. Allora a quanto corrisponde un munneddu? (domani vi interrogo!)
• Il coppo. Nella vita di tutti i giorni può essere usato in due diverse occasioni. Se diciamo un coppo di pasta, indichiamo una confezione da 500 gr. Se vogliamo un coppo di semi di zucca, o meglio di simenza, non c’è un peso specifico, ma si tratta della capienza di un foglio di carta arrotolato a forma di cono. Quindi, non paghiamo i grammi effettivi ma il coppo in sè.
• Dal coppo automaticamente si passa al cuppino, ovvero al mestolo da cucina. Va da sé che se ti chiedono “Quanta pasta vuoi?”, è appropriato rispondere “una cuppinata”.
• Lu zuccu. Designa un pezzo di legno di dimensioni importanti. Di fronte ad una catasta di legna siamo subito in grado di distinguere uno zucco dallo zucchiteddu, di dimensioni ridotte rispetto al primo.
• Le misure legate alle dita della mano:
– Un dito d’acqua.
– Due dita di vino.
– Le tre dita spettano di diritto alla sarta. “Provo i pantaloni per prendere le misure? – “Ma nenti, l’accurzu tri ita precisi”. E per farmi persuasa mi mette davanti le sue tre dita allineate orizzontalmente. Sì, mi fido tranquilla.
– Il palmo l’ho visto utilizzare in merceria per misurare, ad esempio, la stoffa. Non vi azzardate a dire: “Prendi un metro e la misuri” – “Ma chi ha fari, cchiù precisu di lu parmu nenti c’è”.
E con quattro dita cosa si misura?
• Per descrivere quantità minime, impossibili da misurare, utilizziamo diversi termini come: sbrizza, tanticchia, stizza, e lagrima.

Forse oggi qualcuno riuscirà a togliermi un dubbio che mi porto dietro da molti anni. Ma perché zeru pi zeru un cantaru e vinticincu?