A Favara, da ragazzo, insieme ad Antonio Zarcone compagno d’infanzia ho conosciuto Pino Moscato. Suonava la chitarra, dipingeva quadri con le barche colorate e scriveva poesie d’amore. Nelle sue canzoni contestava i prepotenti e sognava un mondo migliore. Ricordo, che un giorno ci ha ospitato con Antonio, a Roma nella casa dei suoi genitori nel quartiere Centocelle. Per un lungo periodo ci siamo persi di vista. Nel 2025 ci incontreremo a Firenze per la presentazione di “Ci hanno nascosto Danilo Dolci”.
Ma andiamo a conoscere da vicino Pino Moscato…
-Quando inizia la tua avventura nel mondo della musica?
La musica è sempre esistita nella mia vita, probabilmente da prima che nascessi. I miei genitori, artigiani siciliani, cantavano insieme nel cortile quando giovanissimi, imparavano il loro mestiere, papà svolgeva il mestiere del calzolaio, la mamma quello della sarta. Sono convinto che fossero felici e cantassero anche mentre ero nella pancia di mamma.
-Qual è il ruolo dell’artista nella società in cui viviamo?
Non credo sia l’artista che possa decidere di avere un ruolo nella società, l’artista è un ricercatore… quando riesce a trovare qualcosa che lo soddisfa, lo offre agli altri e se gli altri ricevono emozioni o riflettono quando l’ascoltano, allora avviene qualcosa di nuovo e possono accendersi delle luci, aprire o chiudere delle porte… forse il ruolo dell’artista consiste nell’offrire piccole occasioni di libertà e di benessere…
-Mi racconti quando hai avuto la prima chitarra?
All’età di 10 anni, se non considero quella finta di plastica che mi aveva portato la befana qualche anno prima. Erano i tempi del complesso inglese dei Beatles…
-Puoi commentare queste frasi: “Gli artisti sono benefattori dell’umanità, un giorno tutti si inginocchieranno al suono di una chitarra che sussurra messaggi di pace e contro ogni guerra”…
Non sono convinto che un’artista possa avere un tale potere… per me queste sono parole troppo grandi, forse in una lontana adolescenza potevano avere un senso, un artista è un osservatore di ciò che lo circonda, innamorato della bellezza che ha intorno spesso nascosta, forse il suo compito è quello di portarla alla luce.
-Pino e il ricordo di Centocelle…
Sono ormai 25 anni che vivo a Firenze e da 20 ho lavorato come formatore e mi sono occupato di documentazione video e fotografica. Questo lavoro mi ha permesso di conoscere molte realtà italiane ed europee. Centocelle appartiene al passato, alla mia storia fino all’età di 30 anni… credo che a parte la nuova metropolitana non sia cambiata molto, tranne la presenza massiccia di extracomunitari. So che da qualche anno all’interno del quartiere ce n’è un’altro, quello arabo.
-Quali sono i tre incontri più importanti della tua vita?
E’ una domanda difficile, credo di aver vissuto diverse vite, per ognuna c’è stato un incontro importante e ho paura che dicendone alcuni potrei trascurarne altri. Ci provo: Gianfranco mi ha fatto scoprire la complessità della politica e della dimensione sociale, Lucia mi ha insegnato l’autocritica e l’amore, Roberto il sapere, lo studio e la conoscenza… tutti amici… ma ce ne sono almeno altri tre o quattro che per me sono importanti.
-Le città di oggi non si curano affatto dei bambini, degli anziani e soprattutto delle persone che vivono le disabilità. Cosa bisogna fare per cambiare il cuore delle persone?
Avendo un figlio con la Sindrome di Down di vent’anni, posso dire che le persone in natura sarebbero ben disposte verso bambini, anziani e disabili… purtroppo non c’è abbastanza educazione all’ascolto reciproco, il nostro paese è un concentrato di persone egocentriche troppo occupate a soddisfare il proprio ego… a cominciare dagli adulti che non ascoltano i più giovani… forse bisognerebbe scrollarsi di dosso la vecchia cultura fascista e la relativa applicazione distorta della filosofia del superuomo di Nietzsche… La Costituzione non è stata ancora realizzata. Il problema è politico e culturale…
-Quante canzoni hai scritto?
Non saprei… dovrei contare anche quelle che non ho mai cantato in pubblico. Per me scrivere canzoni equivale a scrivere poesie e quindi ogni momento è buono per raccontare e per esprimersi… forse 50 o 100.
-Di che cosa parlano le tue canzoni?
Sono della scuola romana dei cantautori, quella nata al Folk Studio fondato nel 1961 da Harold Brodley, come tanti altri da giovanissimo ho scritto canzoni politiche e poi canzoni intime e personali. Dal 2015 ho autoprodotto singoli e album. Ho trattato il tema della fragilità, quello generazionale e ora sto lavorando sui sentimenti e la passione dei nostri partigiani. Cerco di sviluppare dei progetti culturali per temi, dei concept album, di fatto gli argomenti che tratto girano sempre intorno all’impegno civile.
-Quali sono le ore del giorno in cui ti piace scrivere?
In qualsiasi ora del giorno e della notte.
-C’è qualcuno che ha paura della musica?
Non ho mai conosciuto nessuno che avesse paura della musica.
-Cosa salverà il mondo la musica, la bellezza, la letteratura, il cinema, gli occhi di un bambino abbandonato nelle terre di guerra?
Solo Dio può salvarci e lo fa attraverso il dolore, l’amore e l’allegria che noi manifestiamo… ma c’è anche la rabbia, la competizione, la violenza… è dura.
-Pino Moscato e il teatro…
Il teatro è meraviglioso, non lo pratico, ma nei miei spettacoli ho introdotto la lettura e la recitazione di testi scritti
-Pino e la famiglia …
Ho tre figli, ma spesso mi si chiede di Damiano che ha la Sindrome di Down… li amo incondizionatamente e ho sempre cercato di ascoltarli e considerarle delle persone, ho comunicato loro l’amore, il rispetto per se stessi e l’attenzione per le persone più fragili.
-Cosa ti manca della Sicilia?
Fino a qualche tempo fa avrei detto che mi sarebbe mancata l’ospitalità e il calore, ma ultimamente ho visto troppo degrado. Ho riscoperto la città di Palermo e il trapanese, Mazara del Vallo in particolare mi ha fulminato positivamente… mi manca di scoprire moltissimi luoghi e persone che ancora non conosco.
-Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho progetti a breve e medio termine, l’età di 66 anni me lo impone: continuare a scrivere canzoni, collaborare con le istituzioni nel campo della disabilità, viaggiare con mia moglie, fare volontariato, curare gli affetti, divulgare la canzone d’autore, fotografare (attività che ho sviluppato per più di 15 anni), realizzare un film sulla storia di mio figlio, scrivere un libro, scrivere articoli su riviste impegnate sui diritti sociali, andare in bicicletta…
Biografia Pino Moscato
Figlio di artigiani migranti siciliani, è nato nel 1958 in una casa in subaffitto in Vicolo del Fico a Roma, dietro piazza Navona.
Ha iniziato a suonare la chitarra a 10 anni. Alle medie con Giorgio Di Maggio suonavano in cantina da Battisti ai Led Zeppelin. A metà degli anni ’70 nel quartiere di 100celle, ha fatto parte di un gruppetto di ragazzi che frequentava il teatro Arci di via Carpineto. Grazie all’iniziativa di due docenti di una scuola professionale della zona, hanno messo su un gruppo teatrale per lo spettacolo “100 celle una realtà”. Non erano attori, ma solo ragazzi senza futuro. In quel teatro durante i loro lunghi pomeriggi, hanno visto passare alcuni personaggi che hanno scritto la storia di certa sinistra intellettuale. Lo spettacolo era strutturato in modo semplice: voce narrante che raccontava la storia del quartiere accompagnata dalla sequenza di foto diapositive e nel mezzo degli sketch che descrivevano alcuni spaccati di vita: dal lavoro minorile, alla disoccupazione, fino alla salute pubblica. E poi c’erano le canzoni (è così che ha cominciato a scriverle), quasi tutte in romanesco e dal tono popolare. Una sera, venne a trovarli Bruno Cirino, e Pino Moscato ricorda ancora l’atmosfera e l’emozione… alcuni semplici consigli e quella rappresentazione di borgata diventò teatro di qualità.
Racconta Pino Moscato:
“Il postino Luigi Martella era uno dei responsabili ARCI più attivi di Roma: era anche una specie di talent scout, fu tra quelli che lanciarono Francesco De Gregori & company nel mondo ARCI e dei festival dell’Unità. Fu lui a parlare con Cesaroni proponendoci di andare a cantare al Folk Studio. L’esperienza del teatro terminò di lì a breve. Restammo prima un gruppo ristretto e trasformammo quello spettacolo in qualcosa che assomigliava al Cabaret. Alla fine siamo rimasti in due: Pietro De Simoni ed io. Continuammo a scrivere canzoni e andavamo a cantarle la domenica pomeriggio al Folk Studio: Stefano Rosso, Ernesto Bassignano, Giorgio Lo Cascio… Oltre a Francesco De Gregori, Antonello Venditti e a tantissimi altri. Per questo sento di aver fatto parte della cosiddetta scuola romana e lo dico anche con un sottile senso di orgoglio”.
Pino Moscato ha avuto anche esperienze dirette con alcuni di questi nomi, due quelle importanti: aver fatto la spalla a Francesco De Gregori quando presentò Rimmel in anteprima solo voce e chitarra e una notte indimenticabile in Sicilia passata con Giorgio Lo Cascio, dopo un concerto. Già, la Sicilia in questo periodo gli aveva restituito se stessa attraverso delle persone stupende e che ha amato davvero, tra loro fa il nome di Stefano Fanara.
Quell’esperienza giovanile alla fine terminò. L’idea di cercare il successo non lo sfiorò mai. Ricorda, che proposero di fare una prima tournée di festival dell’Unità per tutto il Lazio, ma non accettò di farla, diciamo per motivi ideologici. Erano anni molto difficili e complicati e Pino della vita non ci aveva ancora capito nulla. Ad oggi, se ripensa al passato, si vede sempre alla ricerca di qualcosa che non ha mai saputo bene cosa fosse. Oltre a suonare e cantare, disegnava e dipingeva acquerelli, ma non si è mai definito un artista anche se gli piaceva da morire frequentare il mondo degli artisti. Siccome la chitarra non se l’è mai scrollata di dosso, ricorda anche un’altra esperienza, quella con Gianfranco Giombini (più un fratello che un amico) e una canzone in particolare, “Canzone per Valerio Verbano”, più che un brano, un’icona che ha rappresentato il racconto amaro per non essere riusciti a vedere qualcosa che somigliasse agli ideali che in quegli anni avevano in comune in tanti, con molti dei quali ha condiviso anche tanto affetto. Un brano per non dimenticare chi ha dato la propria vita per combattere la disuguaglianza e l’ingiustizia (https://youtu.be/Wt6yJNz13xg).
L’ultima esperienza musicale è stata come autore e chitarrista rock con i Garbages di Luigi Bernardini, scomparso giovanissimo (https://youtu.be/OU9kQkKCIOI). Con lui ha avuto un grande feeling musicale ed è stato un vero amico. Ma a metà degli anni ‘80 era già grandicello di età e non poteva andare avanti all’infinito nelle vesti dell’eterno ragazzo. Grazie al suo diploma di Istituto Magistrale ha frequentato allora una scuola di specializzazione per l’insegnamento alle persone con disabilità, ha smesso di suonare pubblicamente ed è andato a lavorare nella scuola, è iniziata così una nuova avventura che ancora oggi è parte fondamentale della sua vita. Nel ’90 all’università di Roma 3, dopo essersi iscritto al corso di Pedagogia, si è imbattuto in una bacheca con il programma del Laboratorio Tecnologie Audiovisive… Non gli sembrava vero. Quella fu la svolta che di fatto ha cambiato la sua vita in modo piuttosto radicale. Roberto Maragliano, il professore che lo dirigeva, l’accolse nel suo gruppo di ricerca, per le sue competenze creative che bene o male si portava dietro dalla vita precedente e forse allo stesso tempo, perché era entusiasta per questa nuova porta che si era aperta. Roberto era ed è un innovatore e Pino non può dimenticare l’opportunità e l’esperienza vissuta durante il ministero di Luigi Berlinguer, quando hanno portato nella scuola italiana i primi computer. Anche in questo caso l’idea era un pò diversa da come stanno andando le cose ancora oggi. Pensavano che Internet e le tecnologie avrebbero potuto cambiare la società, la maggiore circolazione dei saperi avrebbe superato quella supportata dal libro per pochi. In parte le cose sono andate così, ma c’è chi ha speculato su un’ignoranza di base che ha da sempre caratterizzato la nostra Italia fin dai tempi della nostra presunta unità. In quegli anni, contemporaneamente alla morte prematura di sua madre, oltre a lavorare come maestro di scuola elementare, ha contribuito alla fondazione della Lynx, una software house per la ricerca e la realizzazione di applicazioni didattiche per la scuola. Sono stati anni bellissimi di ricerca e sperimentazione applicata direttamente a scuola (https://youtu.be/RJnfzSQqHr4), ma come per la musica, tanto lavoro, tanto impegno, ma soldi neanche a parlarne. In compenso però la società, ha dato lavoro, anche se a pochi, grazie all’infaticabile impegno dei soci, dei quali ricorda Stefano Penge, amico e testimone del suo matrimonio. Nel 2000 ha sposato Laura e si è trasferito a Firenze. Hanno avuto presto tre figli. Prima Irene, che ora studia Biotecnologie molecolari all’università di Trento. Poi Damiano, partenza in salita, ma arrivati in cima è stata una bella passeggiata: ha compiuto da poco 18 anni, impegnatissimo per raggiungere la sua autonomia. Infine l’energica Benedetta che studia pianoforte al liceo musicale.
Nel 2005 ha lasciato la scuola dei bambini e si è occupato di ricerca e documentazione video e fotografica per INDIRE, qui ha incontrato persone bellissime, le ha tutte nel cuore, compresi coloro che non ha amato, tutte gli hanno dato qualcosa e spero anche io di aver fatto altrettanto con loro dichiara Pino Moscato. Durante questi anni si è dedicato molto alla fotografia e ha pubblicato alcuni volumi. Nell’ambito di questa esperienza tra le diverse persone con cui l’ha condivisa, c’è Fortunato Gatto, grande paesaggista. Con lui, italiano trasferito in Scozia, una decennale amicizia a distanza. In tutto questo tempo csi sono visti una sola volta per un workshop a Campo Imperatore. Ma hanno ore e ore di chat e di scambi telefonici in cui si sono confrontati sulle loro esperienze più profonde, sulle loro convinzioni, le paure, le aspettative, i progetti.
Racconta ancora Pino Moscato:-
“Dopo la morte di mio padre, ho scritto per lui una canzone e di lì a poco ho acquistato la chitarra dei miei sogni. Ho così ripreso a suonare con una certa continuità. Il fatto di poter studiare e registrare in casa grazie al digitale, mi ha restituito nuovo entusiasmo. Nel 2019 ho realizzato il mio primo album di canzoni “Viaggiatori di strade”, forse un po’ grezzo, ma in questa occasione, con l’aiuto di Giuliano Pellegrinelli, bassista della prima ora dei Garbages e attuale fonico di palco, ho imparato i primi rudimenti del mixaggio digitale. Da qui non mi sono più fermato, ormai sono ufficialmente prigioniero della musica. E con Pietro De Simoni ci siamo anche regalati un singolo, “Le persone e la gente” che abbiamo realizzato in parte a distanza.
Il futuro. Innanzitutto spero di continuare a scrivere e cantare. Ho qualche resistenza ad esibirmi dal vivo. Ho un orecchio da cui sento poco e una Sindrome di Menier latente mi provoca acufene e vertigini. Non accade spesso, ma se dovessi esercitarmi in modo regolare col canto, accompagnato da una musica con volumi eccessivi, il problema si ripresenterebbe. Quando compongo e registro è diverso, lo faccio in modo saltuario e controllato. Al massimo potrò esibirmi con pochi brani, magari ospite di qualche amico musicista, ma mai più di tanto. Vorrei però impegnarmi per portare la musica d’autore nelle scuole. Potrebbe essere una boccata d’aria per tutti quegli studenti che passano ore e ore dietro un banco. Spesso ci si dimentica che le ragazze e i ragazzi, disabili compresi, a quell’età sono governati dalla sfera emozionale e sensoriale, due aspetti spesso considerati secondari rispetto a quelli detti nobili della logica e della ragione. Ho l’impressione che si voglia trasferire ai più giovani un modello di vita statico, quando invece ad una certa età l’esperienza mentale deve essere accompagnata da quella fisica e concreta in modo molto più adeguato di quanto non sia in realtà. Certo non c’è solo la musica, è tutta l’arte che può soddisfare questa necessità di sensorialitá. Per questo auspico la cura della sensibilità umana attraverso una maggiore promozione di esperienze artistiche e creative dentro tutte le scuole, riuscire a realizzare quest’altro piccolo sogno sarebbe un bel lasciapassare per il paradiso…
…A pensarci bene tutto è iniziato con due docenti che volevano fare teatro con un gruppetto di ragazzi senza futuro…