Ritratti: poeti del nostro tempo Maurizio Piscopo incontra Felice Liotti

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“Facci scavata

comu vattali frischi

di zzappa e di suduri.

Manu ncadduti

di favuci e sputazza,

rini stuccati ‘n dui

comu n’arbulu a lu ventu

cu li rradicchi ch’assupanu

lu focu di Muncibeddu

e li suduri di li jurnateri …

è Rosa Balistreri

Vuci putenti

comu castiu di Diu,

leggia e dilicata

di fimmina nnamurata,

duci e amurusa

comu matri primalòra,

tristi e siddiata

di matri addulurata .

Lorda di sangu

sicca di chiantu

cori accupunatu,

scialli nivuri e lumini,

addumati all’amuri d’aèri…

è Rosa Balistreri”.

Con questi versi struggenti in bianco e nero dedicati alla memoria di Rosa Balistreri, introduco il poeta Felice Liotti che oggi ha 87 anni compiuti. Felice ama l’arte in genere e nella sua gioventù ha svolto un’infinità di mestieri: fabbro, calzolaio, pittore. Si è occupato di serigrafia d’arte. Appartiene ad una famiglia numerosa di dodici figli di cui era il maggiore. E’ stato un grande amico di Rosa Balistreri, oggi monumento immateriale della Sicilia. A lui pongo una prima domanda:

-Quando hai conosciuto Rosa la prima volta?

L’ho conosciuta a Roma. Eravamo alla fine degli anni ’60… In quel periodo ascoltai per caso mezza canzone alla radio “A siminzina”. Rimasi turbato e incuriosito allo stesso tempo, volli cercarla ma nessuno mi rispose. Poi venni a sapere che al Folk Studio c’era il concerto di una “Siciliana”e fui convinto che fosse lei, che in quel momento mi stesse cercando. Non dimenticherò mai l’emozione che mi ha dato quella voce. Comprai il disco, il canzoniere dell’epoca che ho ancora, e da quel momento decisi di essere presente a tutti i suoi concerti, nelle sedi del partito, ovunque.

-Puoi descrivere Rosa?

Era giovane. Nel fiore della voce e partecipava ad alcuni spettacoli con il partito comunista. Era una persona generosa, regalava grandi emozioni ed aiuto a tutti…credo che in verità avesse pochissimi amici. A Palermo aveva un’amica particolare, una professoressa in pensione, quasi cieca, che non aveva nessuno. Lei spesso la andava a prendere da casa per farla sentire meno sola. Ma nessuno le ha mai dato niente, anzi alcuni l’hanno usata.

-Tutti rimanevano colpiti dalla voce di Rosa dal suo modulare, dal suo modo di cantare e di raccontare la vita degli ultimi di questa terra martoriata…

Chiunque ascolti la voce di Rosa che sembra uscire dalle viscere della terra, come ebbe a dire il poeta Ignazio Buttitta, in una nota trasmissione televisiva, rimane colpito al punto che, anche se non capisce il dialetto siciliano, per la profondità della sua espressione e per la potenza emozionale che sapeva dare, a ognuno scendeva giù qualche lacrima. Credo che ogni persona sensibile sia stata travolta dal terremoto di un’Etna in eruzione, in alcuni passaggi commoventi dei suoi canti.

-Che cosa raccontava Rosa nelle sue canzoni?

Il canto di Rosa non era una forma di protesta ma la “protesta” stessa, usciva fragorosa come un’eruzione vulcanica. Questa protesta si coglieva anche dalle rughe che solcavano prepotentemente il viso. Il suo canto faceva vibrare tutti i caratteri e tutte le corde dell’anima.

-Hai conosciuto Ciccio Busacca l’ultimo vero cantastorie della Sicilia?

No, non ho avuto il pregio di conoscere Ciccio. Credo che tra loro esistesse qualcosa che li rendesse unici. La loro generosità artistica e la consapevolezza che avevano a loro modo, la grandezza di quello che facevano, due grandi personaggi nati poveri, ma che avevano dietro tanta ricchezza da elargire al mondo per la gioia di donarsi.

-La tua amicizia con Rosa è stata un’amicizia senza tempo, longeva, lunghissima. Con tua moglie siete stati sempre vicini a Rosa anche negli ultimi giorni della sua vita?

Soprattutto! La mia amicizia risale ad un fatto che non mi stancherò mai di raccontare. In un concerto a San Lorenzo, vicino a casa di mia madre che era malata terminale, ho chiesto a Rosa se poteva venire su per farsi vedere da lei e salutarla, invece Rosa chi fici? Venne senza nessuna esitazione, si è seduta sopra il lettino accanto a mia madre e si misiru a cantare n’semmula le vecchie canzoni siciliane, cu a chitarra, come due vecchie amiche che non si vedono da tempo. Questa bella immagine mi rimase nel cuore. Fu in quel momento che nacque un’amicizia profonda e indelebile e da quel momento la seguii nella carriera e nella sua vita privata.

-Rosa è morta nell’indigenza, nella povertà estrema. Oggi molte “cantanti” dicono di essere le eredi di Rosa Balistreri, ma in vita l’hanno lasciato sola nella sua disperazione…

Rosa è stata spesso denigrata, anche nella sua città.

-Com’è stata trattata Rosa nella sua vita?

Rosa è stata tratta come una “vastasa”, cioè da serva, dopo una pacca sulle spalle, un detto “brava”, nessuno più le dava valore. Questo Rosa lo vedeva e lo viveva con amarezza ogni giorno della sua vita, specialmente negli ultimi anni.

-I pirati sono tornati a Palermo scriveva Ignazio Buttitta in una ballata resa celebre dall’interpretazione di Rosa Balistreri…

E quando mai se ne sono andati i pirati! Quando è cambiato qualcosa? Questa è una terra di conquiste politiche e molto più economiche! Rosa queste cose le ha cantate tanto bene, che alla fine si è trovata in mezzo alla strada, mentre chi la usava “sa vitti di l’astracu”…

-Oggi molti cantano Rosa…

Si. Anche un immigrato africano la canta. Quest’esplosione di Rosa nasce perché il suo canto ha un valore, così come la sua protesta, la sua umanità o è un pretesto per farsi “vedere”? Voglio sperare di essermi sbagliato, anche se a mio avviso, Rosa rimane colei che ha saputo dare alla Sicilia la sua voce vera, senza tonchi e tirichitonchi…

-Sei rimasto legatissimo a Rosa…

Si, sono rimasto legatissimo a lei anche se vivevamo spesso in luoghi diversi. Per qualche anno ho fatto la radio qui a Palermo e lei era sempre disponibile, veniva ogni volta che la chiamavo, anche perché già in molti le avevano girato le spalle. Ho avuto l’accortezza e la fortuna di registrare tutto. E’ stata più volte a casa mia, abbiamo vissuto una bella amicizia. A Capodanno del 1987 venne a pranzo con la madre e mi regalò un’ora di registrazione dal vivo.

-Rosa aveva fede in Dio ?

Si credeva in Dio. Nella sua vita aveva sofferto tanto. Era una donna di fede. Costretta dagli eventi negativi della vita a lavorare. In una sagrestia ha subito violenza da un sacerdote che per la santa chiesa e non solo rappresenta Dio. Lei voleva parlare con Dio non con quel “demonio” che lo rappresentava. Ha scritto diverse poesie, invitandola a quest’incontro e forse per questo se n’è andata anzitempo. La storia di “Quannu moru” risale alla fine del ’89.

-Che cosa c’era nella voce di Rosa Balistreri?

C’era l’emozione e non solo, c’era la forza, c’era tutta la sofferenza antica di tanti anni, una tragica sofferenza, perché con la sua famiglia si è trovata a convivere con la miseria più nera. Sin da piccola è stata una bambina scalza costretta a spigolare, a rovinarsi i piedini…

-Perché non hai mai parlato della vita di Rosa?

Non ne ho mai voluto parlare per pudore, so tutto quello che devo sapere, però finora mi sono rifiutato a scrivere la biografia, perché non volevo entrare nel suo intimo. La mia amicizia con Rosa esula da tutte le malelingue.

-Sei a conoscenza di un film su Rosa?

Si sono stato contattato del regista perché vuole sapere alcune cose da me. Ho dato la mia disponibilità. L’ho avvertito, anzitempo che non mi piace il pettegolezzo, non mi piace il feuilleton, amo la verità altrimenti “boicotterò” il film…

-Ti sei deciso a scrivere una storia su Rosa?

E’ mia intenzione scrivere un libretto sulla mia amicizia con Rosa, pubblicherò gli inediti che ancora posseggo, disegni canzoni, testi scritti, poesie rare e tu scriverai la prefazione…

-A quale canzone del vasto repertorio di Rosa ti senti più legato?

E’ una canzoncina semplice “Cu ti lu dissi”, perché ogni volta che partiva per un concerto e si allontanava per qualche giorno, io facevo finta di essere imbronciato e lei mi cantava “cu ti lu dissi ca t’haiu a lassari”! La nostra è stata un’amicizia fraterna che ci consentiva di essere così. Stavo sempre vicino a lei, anche se viveva a Palermo ed io a Roma. Ci si vedeva sempre. Mi ha regalato tutti i dischi che ha inciso con la Fonit Cetra, fino ad arrivare al periodo che stabilmente era qui. Io facevo la radio e la invitavo nelle mie trasmissioni. Ho ancora conservate un sacco di registrazioni. Rosa è stata a casa mia diverse volte. Qui si sedeva e scriveva le sue poesie che nessuno conosce. Una Rosa poetessa, profonda nei versi e nei sentimenti di vita vissuta.

-Qual è il messaggio che Rosa lascia alle nuove generazioni?

I messaggi sono parecchi , anche se la denigravano e la consideravano ignorante, perché ha iniziato a scrivere a 32 anni. Aveva una sensibilità e una cultura di vita enorme. Il libro che farò sarà incentrato sulle sue poesie inedite, i testi che Rosa ha scritto di suo pugno e che sono stupendi. La poesia di Rosa è una sorta di biografia che parla delle sue cose e del mondo dei poveri della Sicilia. Una Rosa poetessa nei versi, profonda nei sentimenti di una vita vissuta intensamente.

-Si può considerare Rosa una poetessa moderna contemporanea, attuale ?

Si, certamente. Una poetessa fuori dal comune, che non ti aspetti. Un giorno mentre era in macchina per raggiungere un paese della Sicilia ha visto l’amore tra due serpenti che si incrociavano e l’ha descritto in una maniera straordinaria.

-Rosa nella sua vita ha sofferto molto, ha lavorato in campagna alzandosi all’alba, ha vissuto i sacrifici del mondo contadino , la violenza del prete in chiesa, è stata in carcere, ha vissuto la violenza del marito, ha conosciuto il volto bruto e nero di questa società cattiva e cinica nella quale viviamo, però ce l’ha fatta. Dopo la sua morte le sono stati riconosciuti i grandi meriti che ha avuto in vita. Con grande ritardo, dopo vent’anni!

-Mi ha molto colpito la tua espressione su Rosa che è stata “uccisa” più volte. Cosa intendi dire?

Rosa per me è stata “uccisa” tre o quattro volte: dalla politica, dalla società, dai suoi parenti e tutto quanto il resto…

-Perché nessuno ha voluto aiutarla come si spiega questa cosa?

Questa cosa si spiega perché il partito aveva stabilito che Rosa non doveva più esistere nè localmente, nè artisticamente. Rosa è morta in quel periodo o subito dopo. Non ha fatto più niente solo qualche spettacolino. Fino a quando io non l’ho risvegliata…

-Puoi raccontare gli ultimi giorni di Rosa Balistreri?

Arriva una telefonata da Castelfiorentino (dove abitava) col pianto nella voce mi chiede aiuto non solo morale, ma soprattutto economico. Mi chiede di procurale una “serata qualsiasi” era in difficoltà. Proposi la sua candidatura ai miei amici ristoratori romagnoli per la serata di capodanno, un pò per me, un pò per la cassetta che avevo dato, la serata si fece, inutile dire che fu un successo. Le ho procurato uno spettacolo in un ristorante di Tommaso Natale ai “Mangiari di Romagna” gestito allora dalla famiglia Rossini, due romagnoli.

-Puoi descrivere quello spettacolo…

Quella sera c’era molto pubblico e la serata andò bene. Rosa ha cantato fino alle quattro del mattino. L’indomani organizzai un incontro alla radio con alcuni amici e, nel mezzo dell’allegria e la gioia della compagnia, Rosa disse:- “Zittitivi tutti v’haiu a cantari lu me testamentu, quannu moru”. Nessuno conosceva questo canto tranne Lillo Catania l’autore che l’ha musicato. Era il capodanno del 1990. Dopo pochi mesi Rosa muore a Villa Sofia neanche un cane, (tranne pochi amici) al suo funerale. Appoggiato alla cassa che lo portava via disegnai la sua ultima immagine e le promisi che avrei dato anche la vita per farla risorgere… L’occasione si presentò qualche anno dopo, in un incontro casuale con Francesco Giunta al quale regalai “Quannu moru” e le mie registrazioni dell’ ’87. Tutti conobbero il testamento ed esplose il mito internazionale di Rosa Balistreri. Lo stesso anno della sua morte Margot a Santa Margherita del Belice organizzò un incontro per renderle omaggio, con pochi amici che voglio citare: Margot, Marilena Monti, Orazio De Guilmi, Fifo Costanzo, Tanino Gaglio, Renzo Barbarino, Laura Mollica, io Felice Liotti ed il maestro Maurizio Piscopo che ha reso unica l’interpretazione di “Quannu moru” anche se a cantarla quel giorno ero io…

Ed ecco una strofa della canzone Quannu moru:

“Quannu moru

n’un mi diciti missa,

ma ricurdativi di la vostra amica.

Quannu moru

purtatimillu un ciuri,

un ciuri granni e russu

comu lu sangu sparsu”…

Un ringraziamento allo scrittore-fotografo Salvatore Indelicato per le didascalie nelle foto.