Ritratti: Maurizio Piscopo incontra il Prefetto di Agrigento Filippo Romano

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Il primo a parlarmi in maniera entusiasta del prefetto di Agrigento Filippo Romano è stato l’editore Antonio Liotta che ha coordinato la prima presentazione nella provincia di Agrigento del mio libro “Ci hanno nascosto Danilo Dolci”, nei luoghi prestigiosi e rappresentativi della Prefettura. La stanza del prefetto è ben arredata, con quadri d’autore, tende ben stirate. Al centro c’è un pianoforte a coda accordato, pronto per un concerto di Chopin. Il prefetto ha creato la stanza come un teatro mobile della cultura, accogliente, elegante, che esprime perfettamente la sua poliedrica personalità. Egli ha moltissimi interessi, legislativi, quelli legati alla musica, al teatro, alla letteratura, alle feste e al territorio che ama profondamente.

Ma andiamo a conoscere da vicino il Prefetto Filippo Romano.

-Che bambino è stato il prefetto di Agrigento?

Anni fa, il Prefetto Carlo Mosca, mio indimenticato Maestro, ricevendo mio padre in visita a Roma si sentì dire che il figlio, cioè io, da bambino era curioso e aperto alla conoscenza, ma tendeva a voler decidere cosa il gruppo dei bambini avrebbe dovuto fare e come; insomma a coordinare. Rispose il Prefetto che erano appunto le doti in nuce di un buon prefettizio; e sorrise affettuosamente alla severa osservazione paterna. Mio padre apparteneva a una generazione la quale ancora – e giustamente – dissimulava l’affetto e l’ammirazione per i figli, evitando attentamente i complimenti e, semmai, con qualche richiamo.

-Ha un ricordo del maestro della scuola elementare?

Ricordo bene i miei due maestri elementari: un sacerdote, il primo anno, e un laico gli altri quattro. Non ne ho un buon ricordo e, in generale, il mio rapporto con la scuola non è stato mai ottimale; probabilmente perché tendevo a “non attaccare lo scecco dove vuole il padrone”.

-Lei da giovane pensava che un giorno avrebbe svolto la professione del prefetto?

Nessuno da giovane pensa alla professione di prefetto come un possibile futuro: i bimbi vogliono fare il pompiere, o il poliziotto; infatti anche agli adulti riesce difficile definire con chiarezza cosa faccia il prefetto, tale è la poliedricità delle sue attribuzioni. Né è questa la sede per spiegarlo! Basti dire che recentemente ho scritto un libello per spiegarlo ai colleghi appena entrati in carriera: spesso si accede soltanto per una generica percezione del prestigio della carica al concorso per il Corpo prefettizio (peraltro molto difficile e faticoso, con le sue cinque prove scritte – un record fra i concorsi pubblici italiani – e la sua ventina di materie sulle quali rispondere all’orale).

-In un’intervista al giornalista-scrittore Gaetano Savatteri ha dichiarato, che noi siciliani abbiamo il gusto di parlar male di noi stessi, ma siamo molto dispiaciuti se lo fanno gli estranei, soprattutto se non sono siciliani. Cosa voleva dire esattamente?

Francamente mi sembra di aver detto un’ovvietà. Sta scritta anche su “Il Gattopardo”.

-Quali sono le difficoltà che incontra nel suo lavoro?

In poche parole: risolvere problemi senza averne specifica e strutturata competenza giuridica; ma è anche il lato più stimolante.

-Lei ha letto moltissimi libri ed è legato agli scrittori del sud, Verga, Pirandello, Vittorini, Danilo Dolci, Rocco Scotellaro, Ignazio Silone, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Spesso cita qualche passaggio del Gattopardo. Cosa rappresenta per lei questo libro che molti siciliani conoscono soltanto attraverso il film di Luchino Visconti?

Il Gattopardo è un libro che si presta all’estrapolazione di citazioni, è un grande testo descrittivo; magari non è originalissimo, e anche per profondità di pensiero è superato da testi come, per rimanere in tema, “I Vicerè” di De Roberto; ma il potenziale di sintesi e di definizione è eccezionale.

-Qual è il potere di un libro nella società in cui viviamo?

Non mi unirò al coro di chi lamenta la poca attitudine degli italiani alla lettura; è vero, se ne leggono pochi. Ma le cose scritte viaggiano sulle ali del cinema, delle citazioni, dei social network, delle idee che si fanno quasi materia corrente. Pensiamo anche solo al fatto che un tempo molti ma non tutti scrivevano lettere; oggi chiunque scrive messaggi e post. Dunque il potere della parola scritta è oggi forte come mai prima. Magari si tratta spesso di parole scritte male; ma scritte.

-Questa provincia scriveva Giuseppe Fava, ieri produceva braccia per la Germania, la Merica, il Canada, oggi produce la fuga dei cervelli, dei giovani che arricchiranno altri paesi e non torneranno più in terra di Sicilia…

La fuga dei cervelli è argomento notissimo; tuttavia io coltivo speranze: dal Covid in poi il lavoro a distanza ha preso sempre più piede, e conosco diversi giovani che sono inseriti in mondi produttivi lontani (grafici, pubblicitari, ecc.), ma che lo fanno dai posti più graditi ai “nomadi digitali”. Questo nuovo termine ci fa pensare soprattutto a spiagge tropicali, ma vedo che molti – giovani o meno giovani – guardano ora al nostro Meridione come una terra che, a patto di avere un reddito sufficiente anche se maturato, appunto, a distanza, può offrire una qualità della vita persino alta, considerandone elementi non soltanto la disponibilità di grandi eventi, teatri, mostre…insomma di cose bellissime ma che si finisce per frequentare una tantum; ma anche e soprattutto la socialità, il paesaggio, la vicinanza del mare, la famiglia, la qualità dell’aria, ecc.

-In una intervista ha dichiarato: “i figli dei miei colleghi della Puglia sono fuori”, molti figli nostri studiano al nord e all’estero. Non li vediamo crescere, scappano via troppo presto dal loro nido…

La devo correggere: i figli dei miei colleghi pugliesi sono rimasti nella loro regione molto più dei nostri: c’è Sud e Sud.

-A proposito della salute in Sicilia e in provincia di Agrigento ho letto una frase che mi ha fatto pensare molto, cosa vuol dire, “il miglior medico è il treno”?

Anche questo è un detto assai diffuso e, come tutti i luoghi comuni, ha un quanto di verità e un quanto di eccezione. Il Sud è una realtà socio-economica “a macchia di leopardo”: esistono eccellenze e gravissimi ritardi. Spesso il miglior medico è il treno; ma non poche volte accade che nel Mezzogiorno vi siano realtà sanitarie di prim’ordine.

-Mi ha molto colpito la sua attenzione per gli emigranti, ha parlato di accoglienza, di dar loro un futuro reale, senza illuderli. Può spiegare meglio il suo pensiero?

L’immigrazione è necessaria a un paese avanzato che difetta di manodopera; inoltre, se gestita, può arricchire la società che la riceve (semmai impoverisce, e di molto, le società che li perde, gli emigranti): perché chi emigra sovente è la parte più ricca di spirito di iniziativa e non quella più bisognosa di aiuto. Ovviamente sono generalizzazioni e bisogna distinguere caso per caso: ecco perché non ci si può limitare al momento dell’ingresso, al salvataggio eroico, al contrasto, alla lotta ai trafficanti: sono tutti momenti iniziali ma poi l’immigrazione – lo ripeto – va gestita, senza generare generiche illusioni ma anche senza facili generalizzazioni. Con attentissima cura.

-Lei sostiene che Agrigento di fatto è Capitale della cultura da sempre, che questa terra ha dato ingegni elevatissimi alla letteratura, che le carenze strutturali non si possono risolvere in un anno e mezzo…

Non posso che ribadire la domanda, che è anche risposta: la cultura non è (solo) spettacolo e impiego di somme importanti; questa provincia ne ha prodotta, e tanta, anche “a costo zero”; in un vecchio film di Woody Allen un amico trasferitosi in California gli dice che ha avuto una idea artistica e che, se troverà i finanziamenti, la tradurrà in un progetto e poi, a condizione di trovare altri finanziamenti, in un copione e così via seguendo. Ecco, Pirandello, Sciascia e Camilleri non ne hanno avuto bisogno. Dopodiché se per culture, e anno di Capitale della cultura intendiamo kermesse e grandi eventi, è ovvio che i soldi ci vogliono, ed è anche normale che sia così. Ma non è il riconoscimento formale che porta la cultura ad Agrigento, che semmai ne ha prodotta, e tanta. Quanto alle vie di comunicazione, beh: non è un caso che la migliore (quella aventi caratteri autostradali) si chiama “Strada degli scrittori”. Quanto alle altre, vi è una grave carenza, ed è giusto che la comunità locale ne invochi e pretenda la realizzazione.

– I problemi dell’acqua nella provincia di Agrigento hanno una storia antica, sono stati trascurati per anni. In Israele in altre parti del mondo i dissalatori hanno in parte risolto il problema.

Sul tema della crisi idrica non posso che ribadire quanto appena detto sulle infrastrutture; spero che gli enti competenti sapranno trarre insegnamento da quanto avvenuto nella estate del 2024. Il Prefetto, dal canto suo, non ha competenze dirette e non può che intervenire con provvedimenti d’urgenza quando essi siano strettamente necessari.

-Come trascorre il suo tempo libero?

I miei hobby sono tanti, dalla lettura (e scrittura) allo sport, alla musica (suonata e ascoltata) e alle passeggiate in motocicletta; credo che un uomo che si limiti al solo lavoro sia un uomo povero.

A proposito delle funzioni del prefetto

Il Prefetto rappresenta l’autorità provinciale di pubblica sicurezza, presiede il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, può emanare ordinanze e decreti a tutela dell’ordine pubblico e coordina l’attività delle forze dell’ordine. In caso di necessità può richiedere l’intervento dell’esercito.

Interviene in via preventiva e successiva anche in caso di situazioni di pericolo per l’ambiente e in genere di protezione civile. A lui è affidata l’attività di coordinamento delle varie forze, istituzionali e non, che intervengono in fase di soccorso, nei casi di calamità rilevanti.

Si ringraziano i fotografi Angelo Pitrone e Salvatore Indelicato.