La relazione integrale del dott. Domenico Macaluso al G 7.
Nel luglio del 1831, la nascita di una nuova terra, in seguito ad una eruzione sottomarina in pieno canale di Sicilia, suscitò interessi scientifici richiamando in quel tratto di mare i più autorevoli scienziati, ma considerata la valenza strategica di quella nuova terra emersa in un tratto di mare interessato da rotte commerciali e militari, inevitabilmente l’evento suscitò anche interessi territoriali.
Per tale motivo, gli inglesi si affrettarono, forse eccessivamente, a rivendicarne la sovranità, sbarcando il 2 luglio sul vulcano in piena eruzione; questo sbarco appare inverosimile considerato che gli osservatori del fenomeno riferivano che in quel periodo il materiale lavico espulso con violenza dai crateri, raggiungeva un miglio di distanza, ma il capitano della marina britannica, Senhouse, in una dichiarazione ripresa anche dalla Gazzetta di Malta, asserì di esservi sbarcato proprio in qui giorni.
I siciliani, con una delegazione guidata dal responsabile della Deputazione Sanitaria di Sciacca, raggiunsero invece il vulcano quando l’eruzione fu meno violenta, piantando sulle ceneri ancora calde, la bandiera del Regno delle Due Sicilie: in quei giorni re Ferdinando di Borbone era in visita a Palermo, in occasione die festeggiamenti in onore di Santa Rosalia e lo scienziato Carlo Gemmellaro, che studiò l’eruzione, chiamò la nuova isola Ferdinandea, in onore del re.
Anche i francesi non furono da meno ed il grande naturalista Constant Prévost, sbarcato sul vulcano ormai ad eruzione terminata, pose sulla sommità dell’isolotto un cartello con il quale battezzava la nuova terra “Giulia”, poiché era sorta dal mare nel mese di luglio. Prévost, presa contezza della friabilità del materiale che costituiva l’isoletta (pomici e scorie eruttate dal vulcano), vaticinò la imminente scomparsa di quella inconsistente terra, cosa che puntualmente avvenne, con le prime mareggiate invernali: quando il fenomeno eruttivo si era esaurito, il duro basalto si era fermato a circa 7 metri dalla superficie.
Questo picco roccioso affiorante è stato protagonista di un altro evento che ha reso ancora più paradossale la storia dell’isola Ferdinandea. Il 6 luglio 1986 diciotto velivoli statunitensi F-111, per ritorsione ad un attentato libico in una discoteca di Berlino, con la morte di militari americani, si stavano dirigendo il Libia per bombardare Tripoli e Bengasi, quando sorvolando il Canale di Sicilia, videro affiorare una sagoma scura in quel tratto di mare. Nel 1982 l’Unione Sovietica aveva consegnato a Gheddafi sei sottomarini di classe Foxtrot, quindi una minaccia sottomarina libica non era impensabile e, sospettando che potesse trattarsi di un sommergibile Libico, i velivoli statunitensi sganciarono delle bombe di profondità. Non si trattava di un sommergibile ma dei resti affioranti del vulcano Ferdinandea! L’equivoco è più che plausibile, come hanno confermato le riprese che abbiamo realizzato lo scorso 4 luglio con un drone che sorvolava il banco di Graham: i resti del condotto lavico, ad appena 7 metri sotto il livello del mare (che in quel punto è straordinariamente limpido), è perfettamente circolare, come la torretta di un sommergibile.
Le ricerche sullo stato attuale del vulcano sottomarino sono state effettuate a partire dal 1995, mentre nel 2006 grazie ad un partenariato tra la società di produzione televisiva GA&A, che ha prodotto un lungometraggio per il National Geographic, il Consorzio Interuniversitario per le Ricerche in Mare (CONISMA) e l’INGV, ha avuto luogo una crociera di ricerca condotta a bordo della nave oceanografica Universitatis: i risultati di questa ricerca sono stati rilevanti sotto l’aspetto scientifico e per finalità di protezione civile. L’esplorazione sottomarina, con sofisticati sonar, ha consentito di rinvenire diversi edifici vulcanici, oltre al noto vulcano Ferdinandea ed un esteso seamount che il sottoscritto il 6 maggio 2006 ha battezzato Empedocle.
Ma se nel 1831 l’isola scomparve disgregata dallo stesso mare che l’aveva generata, la conflittualità su una terra che non esiste più, è continuata con inopportune rivendicazioni, dopo 170 anni da quella eruzione: nel 2000, quando la stampa, da sempre attratta dal mistero Ferdinandea, parlò di probabile riemersione del vulcano, nonostante l’isola non fosse affatto riaffiorata, riemersero le rivendicazioni territoriali su quella effimera terra, che difatti non esisteva: il Times del 2 febbraio di quell’anno, pubblicò un articolo sulla probabile riemersione del vulcano, titolando il pezzo “Un’isola britannica riemerge davanti le coste siciliane”, scatenando reazioni e prese di posizione da parte dei politici italiani che chiesero chiarimenti su quelle affermazioni, precisazioni che da parte del governo britannico non arrivarono.
Anche in questa occasione, la Francia non fu da meno e molte riviste francesi, tornarono sull’argomento, inviando in Sicilia giornalisti per verificare se le voci relative ad una probabile riemersione del vulcano trovassero fondamento: in quella occasione un giornalista di Paris Match, si fece fotografare durante un’immersione sul picco basaltico del vulcano sottomarino, mentre sventolava una grande tricolore francese.
La sezione di Sciacca della Lega Navale Italiana, per rispondere a queste anacronistiche rivendicazioni territoriali, organizzò una manifestazione con finalità non provocatoria, ma puramente culturale, l’affidamento ideale di ciò che restava del vulcano, non al popolo italiano, ma ai siciliani; all’evento fu invitato il discendente di re Ferdinando di Borbone, il principe Carlo, che si rese disponibile all’iniziativa, purché questa non venisse condizionata politicamente. Venne realizzata una splendida lapide di marmo, con lettere in bronzo che recitavano “Questo lembo di terra un tempo isola Ferdinandea, era e sarà sempre del popolo siciliano”. La grande lapide era impreziosita dagli stemmi della città di Sciacca della casa Borbonica e da quello della Lega Navale Italiana, realizzati dai ceramisti di Sciacca.
La suggestiva deposizione della lapide sui resti sommersi del vulcano avvenne il 21 marzo del 2001 ripresa dalle telecamere di numerose televisioni non soltanto italiane.
Tre mesi dopo quella manifestazione, due navi militari non italiane, incrociarono quelle acque, ancorandosi per alcuni giorni sui resti del vulcano per verificare se vi fossero segni di una imminente eruzione sottomarina. Dopo qualche settimana, i sommozzatori di un diving di Sciacca che accompagnavano turisti ad effettuare immersioni sui resti di Ferdinandea ebbero l’amara sorpresa di trovare la grande lapide fatta a pezzi e chi aveva compiuto questo sconsiderato gesto, si era accanito soprattutto sugli stemmi.
Ferdinandea dunque continua a suscitare un’attrazione sotto diversi ambiti, a cominciare da quello storico e scientifico, con ricerche oceanografiche sulla vulcanologia dello Stretto di Sicilia; Ferdinandea è oggetto anche di studi di Diritto Internazionale circa la sovranità sulle nuove terre e soprattutto ricerche di biologia marina su questo peculiare ecosistema.
La surreale storia dell’isola Ferdinandea, è stata protagonista di numerosi documentari prodotti anche da prestigiosi network televisivi come ZDF, Arté Francia, National Geographic e BBC, mentre i giornali di tutto il mondo, persino il giapponese Yomiuri Shinbun, che ha la più alta tiratura al mondo, hanno dedicato pagine all’effimera isoletta. Ferdinandea la ritroviamo anche in numerose pubblicazioni scientifiche dello scorso secolo, ma soprattutto protagonista di molti libri dove gli autori hanno romanzato la sua singolare storia ad iniziare da Giulio Verne (L’Ile Mysterieuse), per continuare con George Walter Smythe, Salvatore Mazzarella, Bruno Fuligni, Andrea Ferraris, Gaetano Allotta, Giuseppe Rajola, Filippo D’Arpa ed Andrea Camilleri, con “Un filo di Fumo”.
Questo giovane vulcano, con le sue guglie ed i sui anfratti basaltici offre rifugio a diverse varietà di pesci, prede e predatori, che vi trovano rifugio e sostentamento, mentre i minerali che lo compongono, rappresentano un ricco supporto per la crescita di alghe, che rapidamente hanno colonizzato la nerissima lava, creando un contrasto cromatico, unico nei nostri mari; inoltre le onde d’urto generate delle esplosioni vulcaniche e le alte temperature del mare durante le eruzioni, sembra essere alla base della genesi del meraviglioso corallo sub-fossile di Sciacca.
Ma questa ricchezza biologica ha rappresentato sin dalla fine del secolo scorso un’attrazione per pescatori non convenzionali, uomini senza scrupoli che in queste acque hanno esercitato una pesca tutt’altro che sostenibile, facendo ricorso agli esplosivi (forti dell’isolamento del luogo), per stordire ed uccidere le straordinarie cernie che popolavo i fondali di Ferdinandea!
Ed oggi questa oasi di biodiversità, in sofferenza a causa delle alterazioni climatiche dovute al global warming, rischia la desertificazione biologica; ad aggravare il rischio legato alla sostituzione delle specie marine endemiche con quelle alloctone, fenomeno che sta interessando anche quest’area del Mediterraneo, subentra ancora un volta il fattore antropico: nel corso dell’ultima crociera nel banco di Graham, per realizzare le prime immagini di quei fondali a 360° e in 3D, abbiamo rinvenuto decine di boe attorno al cratere di Ferdinandea, elementi di una reta a circuizione. Due pescherecci non italiani pattugliavano quelle acque, infastiditi dalla nostra presenza.
Data la peculiare valenza dei resti del vulcano Ferdinandea come delicatissimo ecosistema, come laboratorio di geologia ma anche come testimonianza storica passata e recente del confronto tra nazioni relative alla sovranità su una nuova terra, conformemente agli obiettivi perseguiti dell’UNESCO, agenzia delle Nazioni Unite creata con lo scopo di promuovere la pace tra le nazioni mediante la scienza, la cultura e l’informazione, il sottoscritto si fa promotore presso i ministeri degli Affari Esteri e dell’Italia e della Tunisia di una iniziativa volta a tutelare questo sito mediante l’istituzione di un’Area Marina Protetta, sotto l’egida dell’UNESCO.
Evitando un confronto con altre Nazioni, su spinose ed ostiche questioni di Diritto Internazionale relative alla pesca in questo tratto di mare sito a circa 23 miglia dalle coste della Sicilia sud-occidentale, si intende con questa iniziativa tutelare una piccola ara marina, ma straordinaria ed unica nel Mediterraneo; quest’area di rispetto non deve inficiare le attività di pesca di nessuna nazione, se praticata in modo sostenibile, in quanto l’area in oggetto si estenderebbe ad una limitatissima area del banco di Graham, dove le peculiari caratteristiche orografiche dei fondali, irte di picchi basaltici, non consentono la pesca a strascico.
Se le aree marine protette per definizione sono costituite da ambienti marini che presentano un rilevante interesse per le loro caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche, nonché per l’importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che rivestono, questo tratto di mare che accoglie nei suoi fondali i resti del vulcano Ferdinandea, ha tutte le caratteristiche per essere candidato a rappresentare un’area marina da proteggere e tutelare.
Nel 1831 il confronto fra diverse nazioni per accampare la sovranità sull’isola Ferdinandea, stava sfociando in conflitto, quando il vulcano, come se avesse coscienza della conseguenza della sua emersione, con la stessa rapidità con la quale era affiorato dal mare, scomparve.
Ma Ferdinandea continua a suscitare interessi territoriali nonostante non esista e se le finalità dell’UNESCO sono quelle di promuovere la pace e la comprensione tra le nazioni con l’istruzione, la scienza, la cultura, l’educazione e l’informazione per promuovere “il rispetto universale per la giustizia, per lo stato di diritto e per i diritti umani e le libertà fondamentali” quali sono definite e affermate dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, Ferdinandea sembra rappresentare l’emblema della pace e della comprensione fra i popoli e pertanto dell’UNESCO.
Siracusa, G 7 EXPO Agricoltura e Pesca
27 settembre 2024
Domenico Macaluso