Ritratti: direttori d’orchestra del nostro tempo Maurizio Piscopo incontra Alberto Maniaci

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Ho conosciuto Alberto Maniaci il 2 Agosto al Teatro Politeama di Palermo, durante uno spettacolare concerto organizzato per la stagione estiva dal titolo: “La Spagna e le Americhe”, nel quale ha diretto in maniera magistrale una grande orchestra, composta da circa 70 elementi e Pier Paolo Petta con la sua inseparabile fisarmonica. Sono stati eseguiti brani celebri di Georges Bizet, di Astor Piazzolla, di George Gershwin, di Pier Paolo Petta. E’ stata una serata veramente indimenticabile, con la presenza di un pubblico numeroso e attento. Quella sera Alberto era felice e dirigeva con le mani, con la bacchetta, con il viso, con gli occhi, con il corpo, con risultati sorprendenti. Ho detto a mia moglie, entusiasta per il fascino del concerto, per la scelta delle musiche, che mi sentivo a Parigi, città nella quale ho vissuto tre anni della mia vita. (Quando Alberto non si occupa di musica trascorre il suo tempo libero con lunghe passeggiate all’alba, gioca con suo figlio e trascorre del tempo insieme a lui e sua moglie. Ama molto piace viaggiare in giro per il mondo e condividere il tempo con gli amici).

-Come e quando nasce la passione per la musica?

Devo dire la verità; sembra strano ma ho come l’impressione che la musica sia sempre stata parte di me. Ho dei ricordi molto nitidi di un Alberto piccolino che giocava, mentre papà Lorenzo ascoltava le opere di Verdi nel suo studio. E poi la musica pop dei cantautori italiani, Dalla, De Gregori e Gino Paoli erano spesso presenti a casa “con noi”. Non mostravo particolare interesse alla musica in generale, ed in particolare non l’ho mostrato prima dei sei anni; tuttavia come regalo di promozione in prima elementare i miei genitori mi regalarono una piccola tastiera, così, quasi per gioco. Ed io giocai con essa, da assoluto autodidatta imitavo le canzoncine in tv riproducendole sui tasti! Lo stesso anno partecipai ad un corso corale e di propedeutica musicale presso un’associazione palermitana. Erano gli anni ’90, Palermo offriva sicuramente molto meno di oggi in termini di attività musicali per i più piccoli. Ricordo l’importanza che assunse per me e per i miei piccoli compagni quell’attività corale e quando con quel coro partecipammo all’interno di una Produzione dell’allora Ente Autonomo Orchestra Sinfonica Siciliana (oggi è la Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana che ho avuto il piacere di dirigere di recente!) cantando nell’ “Enfants et le sortileges” di Ravel. Fu mia nonna Maria, che da giovane aveva cantato nel coro della “Conca d’oro” di Palermo, ad instradarmi a questo laboratorio corale, sperando che un giorno potessi dedicarmi alla musica (cosa che lei stessa non potè fare in maniera professionale). Da quel momento in poi i miei genitori decisero con naturalezza di instradarmi sempre più verso quel mondo, prima iniziando a farmi studiare privatamente il pianoforte, poi con l’ammissione in Conservatorio a undici anni…e da lì è iniziata un’altra storia!

-Come si diventa direttore d’orchestra?

Il percorso per diventare direttore d’orchestra è lungo e articolato. Il vecchio percorso accademico per accedere alla direzione d’orchestra prevedeva almeno sette anni di composizione; dopo di questi – assolutamente necessari per una maggiore consapevolezza – potevi accedere agli ultimi tre anni di direzione d’orchestra. E così che ho fatto; ho studiato e mi sono formato in direzione d’orchestra, composizione e pianoforte principalmente al Conservatorio di Palermo, ma ho anche seguito parecchie Masterclass in giro per l’Italia e l’Europa. Nella direzione d’orchestra in particolare devi formarti sempre, partire da una solida tecnica della gestualità e “rubare il mestiere” ai colleghi, agli insegnanti, agli artisti che solcano i più importanti palcoscenici. Non c’è nulla di male nel farlo; bisogna costruire il proprio sé artistico, impadronendosi di tutto ciò che è necessario per far funzionare la grande “macchina” dell’orchestra, per poi infine farsi la propria idea abbandonando concettualmente ciò che si è “rubato”, ragionare sul proprio messaggio comunicativo e la sua relativa efficacia. Bisogna studiare tanto; è necessario avere in repertorio le più importanti opere sinfoniche del classicismo e del romanticismo (e anche del ‘900, aggiungerei…) poichè la maggior parte delle volte si inizia sostituendo direttori d’orchestra all’ultimo istante, magari il giorno prima della prima prova. Devi essere pronto, formato, strutturato, e devi anche avere un’ottima lettura a prima vista (oltre che un buon orecchio, e questa cosa aiuta sempre….). Devi conoscere la psicologia delle masse e della leadership, devi saperti relazionare con gli artisti e i professori che lavorano con te, non assumendo un ruolo apicale ma lavorare con loro verso un obiettivo comune. Queste cose, sebbene molti docenti me le avevano dette, le capisci realmente solamente una volta che ti ritrovi con sessanta occhi sopra di te, e tu sei così piccolo, sopra quel podio…

-Quali emozioni provi prima e dopo la direzione di una grande orchestra?

Il prima è sempre un pò traumatico.Visto dall’esterno il direttore d’orchestra trasmette indubbiamente sicurezza, e così deve essere. Ma c’è sempre quel brivido di incertezza che accompagna il direttore verso la prima prova: sarò efficace? Saprò ottimizzare il tempo in prova? Sarò funzionale, profondo (ma non troppo), diretto (ma non troppo)? Insomma, prima del primo impatto c’è sempre una sensazione simile a questa, cosa che a me succede prima della prima prova, ma mai prima del concerto (semmai, prima del concerto, inizio ad essere un pò intrattabile…ma penso che ciò sia comune a molti colleghi!). Il dopo è sempre una gioia: trasudi fatica mista a soddisfazione, sei felice dell’obiettivo raggiunto, sei gioioso se e quando riesci a trasmettere empaticamente il tuo messaggio all’orchestra e al pubblico.

-Come si può definire un’orchestra?

“Un agglomerato di anime” potrebbe essere la risposta più poetica. Le competenze musicali di ogni musicista che produce suoni si trasformano in un unico grande suono collettivo, un vero e proprio agglomerato di anime artistiche. Ma l’orchestra è anche spirito di squadra, collettività, affetti condivisi di grandi professionisti che lavorano “maneggiando” arte quotidianamente.

-In che modo il direttore comunica con i professori d’orchestra?

Sguardi, postura, braccia, mani, corpo, voce, pensiero. Tutte componenti importanti in stretta relazione tra loro.

– Qual è la tua idea sul grande direttore Arturo Toscanini, cosa aveva in più degli altri direttori d’orchestra?

Non a caso insegno nel Conservatorio di Ribera, a lui dedicato! Scherzi a parte, la dote più grande di Toscanini, a mio avviso, è stata quella di utilizzare il suo inimitabile carisma per ottenere con le orchestre con le quali ha lavorato dei livelli artistici mai raggiunti prima di allora. E’ stato un grande conoscitore delle partiture del passato e dei compositori contemporanei dell’epoca, un musicista trasversale che ha rappresentato indubbiamente l’avviamento della scuola direttoriale italiana.

– La musica e il fascismo…Come vede questa parte di storia un giovane direttore d’orchestra ?

L’arte in generale (e nello specifico la musica) inevitabilmente è stata sempre oggetto di una strumentalizzazione politica. Spesso le ideologie sono state veicolate dall’opera lirica come espressione di un pensiero condiviso, o venivano composte addirittura delle sinfonie per esprimere la personale “simpatia” verso la figura politica di riferimento (vedi ad esempio il rapporto contrastato tra Beethoven e Napoleone). Nel caso del fascismo, purtroppo, l’ideologia non ha permesso a molti artisti di quel tempo di poter esprimere la propria arte, poiché non allineati, poiché non appartenenti a razze, religioni e “pensieri” del momento. L’avvento del fascismo ha tarpato le ali a grandi musicisti e pensatori; i più fortunati ebbero modo di emigrare negli Stati Uniti e solo per questo motivo oggi possiamo beneficiare delle registrazioni dell’epoca, o del loro prodotto artistico in genere.

-Come vive oggi un compositore in una città piena di rumori come Palermo?

A me non disturbano; riesco ad essere più attivo artisticamente inebriandomi dei colori, rumori e sapori della mia città. Ovviamente ciò che sentiamo deve essere costantemente rielaborato in termini di creatività e canalizzato sul pentagramma in modo funzionale e intelligente!

-Puoi parlarmi delle tue composizioni, in particolare di quelle cameristiche e orchestrali che riguardano il teatro musicale e la danza?

Dico sempre che il compositore non può mai realmente andare in vacanza! Si scrive per una necessità interiore e non solo perchè si deve consegnare un lavoro con una data di “consegna”. Per tale ragione ho scritto tanta musica che spesso non è stata eseguita per semplice diletto e per tenere in attività sempre la vena creativa. Ho composto dopo aver viaggiato, come nel caso di “Jambo! Hymn to the life”, dedicato a ciò che ho visto e respirato in Kenya; ho raccontato molto di me in “Brise d’espoir” per trio classico, ho scritto pensando alle tragedie del mare, come è stato per “In nomine Matris”. Ma ho anche scritto per la danza, essendo stato il mio lavoro per anni quello dell’accompagnare le lezioni di danza classica.

-Mi puoi parlare degli “Appunti a matita”?

Il progetto “Appunti a matita” è una raccolta di temi utilizzabili per la lezione di danza classica; erano appunti giornalieri su fogli di quaderno pentagrammato utilizzati come veri e propri appunti tematici successivamente razionalizzati in un progetto molto più grande. La mia musica è reperibile sulle piattaforme digitali e le partiture sono acquistabili sul sito delle Edizioni Musicali Wicky di Milano.

-Hai mai composto delle musiche per il grande schermo?

Ho compost la musica per alcuni cortometraggi e per piccoli progetti (trailers, video promozionali), ma non ho mai composto realmente per il cinema. Questa sarebbe un’occasione artistica interessante ma che sfortunatamente, ho avuto poco modo di praticare.

-Qual è il potere della musica nel mondo in cui viviamo?

Oggi la musica può essere fruita a vari livelli e in vari contesti. Anche in passato è stato così, sebbene la sua diffusione non sia stata capillare come al giorno d’oggi, dove noi tutti abitiamo l’era di internet. Il potere però che assume la musica nel nostro presente, più che in passato – ma solo per un mero fatto di capillarità immediata – è quello di poter essere un veicolo di messaggi sociali realmente importanti, attraverso anche l’ausilio della combo audio – video. Raccontare qualcosa con la musica dovrebbe essere il fine principale del mestiere di chi scrive, lasciando all’ascoltatore lo spazio di “riempire” i vuoti della spesso non immediata comprensione di essa con il proprio sentire e con il proprio interiorizzare un messaggio. Ciò ovviamente è valido per la musica di concetto; diverso a mio avviso è il potere della musica a servizio di una narrazione (non veicolo di narrazione, due fatti ben distinti!). Nel mondo del cinema, del teatro, della danza il potere evocativo della musica è ben più importante spesso della narrazione stessa. In quel caso si sottolinea qualcosa, lo si esalta, lo si rende opposto, con l’unica e reale finalità di costruire un’opera d’arte perfetta, una simbiosi raffinata tra messaggio extramusicale e musicale intrinseco.

-Hai suonato in moltissimi teatri. Qual è quello che ami di più e nel quale vorresti tornare a dirigere?

Il Teatro è la casa dei musicisti; sembra banale ma il tempio dell’arte musicale per eccellenza, non deve essere confortevole solamente per il pubblico ma anche per chi ci lavora dall’interno ed è pronto quotidianamente a regalare un’emozione allo spettatore che deve “ubriacarsi” di bellezza. Devo dire, da amante convinto della mia città, che ogni volta che approdo al teatro “di casa”, al Teatro Massimo, sono felice di provare a mostrare alla città questa raffinata bellezza dell’arte, e sento anche il peso della responsabilità – da artista palermitano – nel dirigere all’interno del teatro della mia città per la mia città.

-Quando si spengono le luci del teatro dove finiscono le note che hanno fatto sognare, piangere, ridere e commuovere il pubblico?

A volte corrono in mezzo a noi; altre volte restano sospese in aria come pulviscolo. Mille altre volte restano chiuse in mezzo alla partitura. Chi può dirlo realmente? Le note della musica che ho diretto vorrei che restassero in camerino e non tornassero a casa con me, per poter separare l’Alberto musicista dall’Alberto papà e marito…ma questo (purtroppo!) è realmente impossibile!

-I musicisti nei lager nazisti hanno continuato a suonare. Un violinista polacco è riuscito a incollare il suo strumento e prima di morire ha voluto suonare una sua composizione.

Fino alla fine, fino all’ultimo respiro. La musica se la vivi intensamente e in modo totalizzante non puoi fermarla. Anche nel caso dei campi di concentramento, era probabilmente l’unico appiglio verso la vita. Rabbrividisco al pensiero di chi ha fatto musica per una vita e poi si ritrova a non poterla più fare per gli altri. Però se fa sempre parte di noi…non possiamo fermarla. E’ una speranza, è un soffio intangibile al quale puoi aggrapparti.

-Chi sono i tuoi musicisti di riferimento?

Ho tante figure del passato (recente) che incarnano la gioia del far musica ma una fra tutte è la figura del compositore, direttore d’orchestra e pianista Leonard Bernstein. Insegnante, divulgatore, educatore, showman, artista a tutto tondo, Bernstein è stato musica! Ogni suo lavoro portato in scena era un vero e proprio atto d’amore verso il suo pubblico, verso i musicisti con i quali lavorava, verso se stesso. E poi…che gioia trasmetteva il suo far musica! Mi sarebbe piaciuto nascere vent’anni prima per poterlo incontrare e studiare con lui. Alcuni racconti del suo modo di lavorare con gli allievi e assistenti li ho appresi da uno dei miei insegnanti, Piero Bellugi, che ebbe il privilegio di studiare con lui.

-Perchè nei Paesi come l’Ungheria, la Romania, la Polonia, la Russia la musica ed il balletto sono più valorizzati che in Italia?

In Italia ci professiamo amanti dell’arte ma la valorizziamo poco. E’ come in una coppia dove uno dei due coniugi, dopo tanti anni, dice all’altro “ma tu mi ami?” – “si, ti amo, però…” Ecco, quel “però” è rappresentato dal “ci sono cose più importanti della cultura in Italia”. I governi che si succedono dicono tutti che valorizzeranno la musica e l’arte in generale, ma in fondo non lo fanno realmente mai, oppure vengono sovvenzionate spesso operazioni di marketing e mainstream. Tutto questo è paradossale se pensiamo che il belcanto, l’opera e il madrigale sono patrimonio italiano che tutto il mondo ci invidia.

-Quali consigli ti senti di dare ad un ragazzo che da grande vorrebbe fare il direttore d’orchestra?

Studiare sempre, fermarsi mai, non demordere, cercare di costruirsi una solida formazione “sana”. E poi… “never give up!”

-Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Sono pochi e poco significativi quelli importanti e a breve scadenza. Tuttavia ho in programma per questo inverno di dedicarmi molto alla composizione e, come di consueto, alla docenza. I miei allievi mi aspettano ogni settimana in Conservatorio. Ed io sento la grande responsabilità di donare ai giovani musicisti di oggi e del futuro tutto ciò che di essenziale la musica quotidianamente ci regala.

Biografia

Alberto Maniaci, direttore d’orchestra, compositore, pianista e docente, è nato a Palermo nel settembre del 1987. Ha conseguito i Diplomi in Pianoforte, Composizione e Direzione d’orchestra con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio “Alessandro Scarlatti” di Palermo e il Diploma Accademico di M° Collaboratore alla Danza presso il Conservatorio de L’Aquila. Allievo di Piero Bellugi, di Ennio Nicotra e Carmelo Caruso per la direzione d’orchestra e di Marco Betta per la composizione, nel 2016 è stato l’unico direttore allievo italiano di Riccardo Muti per la seconda edizione della “Riccardo Muti Music Academy”.

Nel 2012 vinto il terzo premio al V concorso internazionale per direttori d’opera “Luigi Mancinelli” di Orvieto e nello stesso anno ha vinto il “Premio delle Arti” sezione direzione d’orchestra, organizzato dal Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca presso il Conservatorio “Alfredo Casella” de L’Aquila.

Ha diretto l’Orchestra Sinfonica “La Verdi” di Milano, l’Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano, la Peter The Great Music Academy di San Pietroburgo, l’Orchestra Jazz Siciliana, la Florence Symphonietta, Orchestra Sinfonica del Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo e del Conservatorio Arturo Toscanini di Ribera, la Mediterranean Chamber Orchestra, l’Orchestra Sinfonica Giovanile Internazionale “Fedele Fenaroli” di Lanciano, l’Istituzione Sinfonica Abruzzese, l’Orchestra da Camera Fiorentina, l’Orchestra Sinfonica Siciliana, l’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo, l’Orchestra dell’Ente Concerti “M. De Carolis di Sassari, l’Orchestra del Luglio Musicale Trapanese, l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta, l’Orchestra della Magna Grecia e l’Orchestra Giovanile Mediterranea (oggi Orchestra Mediterranea – OME), compagine orchestrale da egli stesso fondata con la quale ha effettuato numerose tournée in Italia, in Libano e in Norvegia.

E’ autore di numerose composizioni cameristiche, orchestrali e per il teatro musicale, per la danza e per la didattica. Le sue musiche sono edite da Kelidon Edizioni, Undici07, Edizioni Musicali Wicky (Milano). In veste di compositore, pianista e direttore d’orchestra ha inciso per diverse etichette discografiche e la sua produzione è reperibile su tutti gli stores digitali.

Dal 2014 al 2021 è stato docente di Teoria e Pratica Musicale per la Danza e accompagnatore alla danza presso il Liceo Coreutico “Regina Margherita” di Palermo. Ha insegnato Teoria, Ritmica e Percezione Musicale presso i Conservatori di Genova e Palermo mentre dal 2023 è docente di ruolo per la disciplina Orchestrazione e Concertazione Jazz presso il Conservatorio “A. Toscanini” di Ribera (Ag).