Ritratti : medici/ artisti del nostro tempo Maurizio Piscopo incontra Fabio Fulfaro

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Quando ho conosciuto Fabio Fulfaro mi è venuto subito in mente Ernesto Guido Laura, di Villafranca di Verona, importante critico, regista, saggista, storico del cinema italiano, che ho conosciuto alla Cittadella di Assisi negli anni ’80. Un critico assai raffinato che si è dedicato soprattutto alla critica cinematografica e alla storia del cinema, coltivando in particolare lo studio dei rapporti tra cinema, mass-media e fascismo. Il primo a parlarmi di Fabio Fulfaro è stato il dottore Vincenzo Cavaliere. Mi ha parlato di un medico bravissimo con una grande passione per il cinema d’Autore, un Critico cinematografico di eccezione, colto, raffinato e riservato lontano dai riflettori e dalla pubblicità. La cosa curiosa che abitiamo di fronte e per anni non ci siamo mai incrociati. Discettando di cinema con il dottore Fabio Fulfaro…

-Ci sono due frasi di Federico Fellini che mi hanno colpito molto: “Noi abbiamo due vite, una ad occhi aperti ed una ad occhi chiusi.”Se tutti facessimo un po’ di silenzio forse riusciremmo a sentire qualcosa”. Questa frase la disse Fellini a chiosa del suo ultimo film La Voce della Luna. E rimane attuale ancora oggi. -Federico Fellini continua ad essere uno dei registi più amati del mondo, il suo Cinema ha fatto scuola.

I principali interessi del dottore Fulfaro oltre al cinema sono l’arte, la letteratura, la musica.

Per quanto riguarda la pittura ha una particolare predilezione per gli artisti astratti e surreali.

Nei suoi viaggi all’estero ha preferito sempre città con musei dei suoi pittori preferiti: Barcellona e Madrid per Dalì Mirò e Picasso, New York e Chicago per Hopper, Londra per Francis Bacon, Parigi per tutti i maestri dell’impressionismo e del post impressionismo, Bruxelles per Magritte.

Per la musica ha invece una preferenza per il rock meglio ancora se alternativo. Il suo artista

preferito è Thom York sia come compositore di colonne sonore, sia alla guida dei Radiohead e

dei The Smile. Tra gli artisti italiani Franco Battiato è stato per lui l’esempio di musicista

eclettico che ha saputo far coesistere sacro e profano. Per la letteratura ha una forte preferenza per quella americana: Francis Scott Fitzgerald per il passato e Cormac McCarthy per il contemporaneo (per inciso Il Passeggero e Stella Maris sono per Fabio i migliori libri letti negli ultimi 10 anni).

Ama lo sport in genere ma senza appassionarsi ad uno in particolare (a parte il Tennis di

Roger Federer).Ama la cucina, è tendenzialmente onnivoro e non rifiuta mai una portata.

Ma andiamo a conoscere da vicino questo personaggio della città segreta.

-Quando nasce la tua passione per il cinema?

In realtà è stata prima un’attrazione, poi un innamoramento e infine una passione che è divampata durante gli studi universitari di medicina ed è andata crescendo nel momento in cui ho praticato la professione di oncologo. Avevo la necessità di un posto alternativo, di un altrove dell’immaginazione dove smaltire gli eccessi di realtà. Era come una caverna placentare dove le immagini cinematografiche sostituivano la quotidianità. È un modo di rimettere le cose a posto, un luogo dove esercitare i processi di proiezione e identificazione, rimozione e distanziamento. Mi ha consentito di rientrare nella vita di tutti i giorni con un giubbotto antiproiettile creato dalle emozioni e pensieri suscitate dalle opere cinematografiche.

-Qual è il primo film che hai visto?

Il primo film di cui ho un ricordo è L’Anatra all’Arancia di Luciano Salce del 1975. Sembra una storia boccaccesca, ma i miei genitori incredibilmente mi portarono con loro al cinema. Forse avevo fatto i capricci, forse non si rendevano conto del film che stavano per vedere, probabilmente non potevo restare solo a casa. Io non capii niente ma mi rimase molto impresso il corpo di Barbara Bouchet disteso nudo ad abbronzarsi e il gluteo punto da una vespa. Avevo 7 anni, immagina tu il trauma infantile che ho subito. Di quello shock primario mi è rimasta una certa predilezione per il cinema di genere, in particolare lo “spaghetti thriller” della prima metà degli anni 70.

-Qual è l’ultimo film che hai visto al cinema?

Ho visto un film enorme. La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer che riesce a parlare dell’Olocausto non mostrando alcuna immagine di violenza. Tutto l’orrore sta nel fuoricampo, lo intravediamo nelle torrette di osservazione e nel fumo nero dei forni crematori. Lo sentiamo nel rumore degli spari o in lontane urla di dolore. Questa famiglia di nazisti che vive serenamente la propria esistenza a pochi metri da Auschwitz è cosi simile alla società occidentale che sembra indifferente ai rifugiati dei diversi conflitti bellici, ai morti che quotidianamente popolano le cronache dei telegiornali. Sembriamo ormai assuefatti a tutto, anche al dolore; la soglia di sensibilità si è spostata troppo in alto.

-Cosa pensi dell’uso del cinema che fa la Tv, pochi istanti di film interrotti da una pubblicità martellante?

Negli anni 90 Federico Fellini fece una guerra alle tv di Berlusconi perché interrompevano e smembravano le sue opere infarcendole di spot pubblicitari. La campagna aveva come titolo “Non si interrompe un’ emozione” e purtroppo non ha avuto un esito positivo. Oggi anche le piattaforme di streaming stanno inserendo la pubblicità e stanno creando abbonamenti ad hoc per chi desidera le comunicazioni commerciali. A me sembra un sacrilegio. Come interrompere a metà una Messa per reclamizzare una marca di Vin Santo.

-Puoi dare una definizione sulla settima arte, che cos’è per te il cinematografo?

È una grande seduta psicoanalitica in cui al posto del divano c’è lo schermo cinematografico. Se siamo fatti della materia di cui sono fatti i sogni allora il Cinema dà forma a queste immagini del subconscio. Prima dell’invenzione del Cinematografo non avevamo immagini archetipe con cui confrontare le nostre paure più profonde e i nostri desideri più nascosti. Adesso le immagini del Cinema hanno formato una sorta di Inconscio Collettivo ed ogni spettatore vive la sua esperienza visiva secondo il proprio contesto psicologico e socio culturale. Andare al Cinema è come leggere tanti libri, si fanno viaggi in posti in cui non siamo stati mai. Torniamo da queste escursioni con tanta esperienza in più e possiamo confrontare il nostro vissuto con altri viaggiatori. Il cinema è quindi una delle arti che fa emergere l’invisibile dal visibile. Ed ha il privilegio di essere trasversale coinvolgendo altre arti come la musica, la pittura, la scultura, la architettura, la fotografia, la letteratura.

-Che cosa ha espresso il neorealismo in Italia?

Il neorealismo è nato negli anni 40 ed era una corrente che nasceva dall’esigenza di mostrare la realtà del nostro paese durante la guerra e nel tormentato periodo post bellico. De Sica e Rossellini sono considerati i principali esponenti ma anche Visconti con Ossessione e soprattutto La Terra Trema ha attraversato una fondamentale fase neorealista. Questo particolare sguardo, questo modo diretto di osservare la realtà facendo spesso uso di attori non professionisti e girando fuori dai teatri di posa per le strade di città ancora devastate dai bombardamenti, non andava bene al potere politico del tempo. Andreotti fece una crociata contro i neorealisti dicendo che i panni sporchi si dovevano lavare in casa. Io penso al contrario che nascondere i problemi è il peggiore modo di affrontarli.

-Sciuscià, Paisà, Roma Città Aperta e Ladri di Biciclette: cosa hanno in comune questi film che hanno fatto la storia del Cinema italiano nel mondo?

Sono opere immortali che hanno ricevuto riconoscimenti mondiali facendo incetta di Oscar e di Palme d’Oro. Tutte partono dall’osservazione naturalistica di un dato reale, molte di queste tengono il punto di vista ad altezza bambino e la storia si dipana in maniera tale da porre un problema morale. Ecco, un comune denominatore è questa eticità dello sguardo: la salvaguardia della dignità umana di fronte agli orrori della guerra e alle ingiustizie sociali. Il Neorealismo si concentra su due aspetti peculiari: l’identificazione della situazione individuale infantile con quella collettiva di un popolo costretto a scendere a compromessi per la propria sopravvivenza e l’effetto opprimente di un sistema (Famiglia-Stato-Chiesa) che ha un effetto castrante su ogni buona intenzione del cittadino. In Sciuscià i due piccoli protagonisti, osservando il mondo degli adulti, ne ricavano solo cattivi esempi: insensibilità, pigrizia, menzogna, avidità, cattiveria, egoismo, tradimento. Anche il linguaggio in stretto romanesco ripropone gli stereotipi e le asprezze di quello degli adulti. Se da un lato i ragazzi sono ancora spinti da sentimenti di solidarietà e amicizia, dall’altro padri, madri, fratelli, dottori, avvocati, cartomanti, commissari di polizia, ricettatori, sacerdoti e tutto il personale del carcere minorile (tranne un maestro) trasmettono loro cinismo e disillusione: non è solo un parlare male, è soprattutto un pensare male. Devono crescere in fretta, non ammalarsi, non mostrare debolezze per non essere calpestati da tutti gli altri concorrenti alla sopravvivenza. Ma è proprio dalle nuove generazioni che bisogna ripartire per potere sovvertire lo stato delle cose. Il finale di Roma Città Aperta lascia ai ragazzini quella luce di speranza per un mondo migliore fuori dalla miseria e dagli orrori di un contesto post bellico devastante.

-Qual è il potere di un film?

Domanda complessa.

-Un film può cambiare il nostro mondo? Può mutare i comportamenti di una società?

Risponderei in maniera negativa, perché in realtà i problemi che affrontiamo ogni giorno sono sempre gli stessi da anni e anni a questa parte. Il film invece può avere il potere di agire sul singolo individuo, gli può fornire un punto di vista, stimolare una critica, sollevare un giudizio morale, fare prendere un’assunzione di responsabilità su alcuni aspetti conflittuali sia della nostra contemporaneità sia della storia passata. Io ho imparato molto dell’ Italia degli anni 50 e 60 proprio guardando il cinema di quegli anni, specchio delle trasformazioni di un paese che dalla povertà entrava dentro il boom economico. Mi piacciono i film che rendono lo spettatore attivo, lo stimolano continuamente alla riflessione. Il modello televisivo mi pare invece trattare lo spettatore come un vaso da riempire, un contenitore ad uso e consumo della società delle merci.

-Chi sono i tuoi registi di riferimento?

Sono tanti, forse troppi e sono anche cambiati con il tempo. Quando ero più giovane ero molto innamorato del cinema italiano degli anni 60: non solo Fellini, Antonioni, Visconti, Pasolini ma anche registi atipici come Pietrangeli, Zurlini, Olmi, Lattuada, Salce, Bolognini, che secondo me avevano più di altri assorbito la lezione della Nouvelle Vague francese. Mi piaceva anche il cinema militante di Bertolucci e Bellocchio che sognava la possibilità di un cambiamento nella società, che aveva assorbito il ‘68 e provava a mettere in pratica le possibilità di una rivoluzione. Oggi, finiti gli astratti furori giovanili, sono più attratto da un cinema minimalista, fatto di poche parole e molte immagini. Ho apprezzato in questo senso le ultime opere di Aki Kaurismaki (Foglie al Vento) e di Wim Wenders (Perfect Days) che propongono un modello che va controcorrente rispetto a quello occidentale, con la prevalenza del silenzio sul rumore. “Se tutti facessimo un po’ di silenzio forse riusciremmo a sentire qualcosa”. Questa frase la disse Fellini a chiosa del suo ultimo film La Voce della Luna. E rimane attuale ancora oggi.

-Il cinema è la fabbrica dei sogni, ma può avere un potere rivoluzionario…

Riprendendo il discorso di prima, all’interno della industria dello spettacolo è molto difficile essere sovversivi e rivoluzionari. Bisogna trovare il coraggio degli autori indipendenti che continuano a portare avanti testardamente la propria idea di cinema. Penso a Pietro Marcello, Michelangelo Frammartino Franco Maresco, Alessandro Comodin, Laura Samani e tanti altri. Gente molto coraggiosa, coerente con la propria visione del mondo e non disposta a vendersi al miglior offerente. Con le nuove piattaforme di streaming e con gli algoritmi dell’intelligenza artificiale che ti detta le sceneggiature è più complesso fare cinema fuori dagli schemi. Godard diceva che la televisione crea l’oblio, il cinema invece dei ricordi. La mia impressione è che la pervasività del mezzo televisivo e dei social media tendano ad esercitare questa tabula rasa su tutto, omologando comportamenti e flussi di pensiero. Si perde così la memoria storica e certi comportamenti intolleranti e violenti cominciano a riemergere pericolosamente.

-Si può ancora sognare con il cinema in un tempo pieno di guerre, catastrofi ambientali e preoccupazioni per il mondo intero?

Si può sempre sognare con il cinema ma con la consapevolezza che esiste fuori dalla sala cinematografica un mondo diverso spesso fatto di violenza, avidità, ingiustizia, odio. Il sognare non significa rimanere dentro una bolla asettica, una comfort zone inattaccabile dall’esterno. Sognare significa avere gli strumenti per potere difendersi dalla prevalenza del reale, da un flusso di eventi a volte travolgenti e imprevedibili. Il cinema per me non è la verità a 24 fotogrammi al secondo. E’ un tentativo di rappresentare la realtà, una imitation of life che però ha il pregio di poterci fare compiere una simulazione guidata attraverso una Sindone del mondo. Lo schermo bianco è il sudario che raccoglie queste tracce. Sta a noi ricomporre i pezzi. E a comportarci facendo tesoro degli errori commessi nel passato.

-Cinema e dibattito. Sono ancora attuali le rassegne cinematografiche?

Il cinema è un momento di aggregazione. Io ed altri colleghi come Amedeo Falci e Maurizio Guarneri abbiamo organizzato delle rassegne cinematografiche. Una riguardava le problematiche del mondo adolescenziale, un’altra verteva sulla sessualità e sui diversi modi di rappresentarla. La parte più interessante è stata proprio la discussione post visione intorno a dubbi e interrogativi che erano sorti durante la proiezione. La gente ha voglia ancora di confrontarsi. La nostra esperienza è stata positiva e credo che proporremo nuove rassegne.

-Le fiction sulla Sicilia fanno male alla Sicilia?

Non tutte le fiction fanno male alla Sicilia. Ma quelle che strizzano l’occhio al malfattore e al mafioso proponendoli come eroi mitologici creano un immaginario collettivo distorto. La Sicilia è una terra devastata dal dolore per gli innumerevoli lutti causati dalla violenza malavitosa. Per rispetto a tutti questi morti si dovrebbe evitare qualsiasi epica del “buon padrino” o della mafia che sostituisce l’autorità dello stato “dando da mangiare a tutti”. E’ una delle più grandi bugie che siano mai state raccontate ai siciliani.

-Cosa pensi delle musiche scritte per il cinema?

La musica ha una importanza fondamentale perché amplifica la percezione emotiva della visione. La stessa scena con un commento musicale inappropriato perde l’80 % del suo potenziale empatico. Pensa al binomio Sergio Leone & Ennio Morricone, Federico Fellini & Nino Rota, Kieslowski & Priesner. E ancora pensa a Dario Argento senza la musica dei Goblin (Profondo Rosso, Suspiria, Tenebre) o di Keith Emerson (Inferno). Pensa a Hitchcock senza il fido Bernard Hermann e le sue partiture ad alta tensione, fortemente ansiogene. Si possono fare altri cento esempi. La musica è il metronomo della narrazione.

-Quale importanza dai alla fotografia nel cinema ?

Ha un ruolo fondamentale nella resa finale di un’opera cinematografica: pensate ad Apocalypse Now e Il Conformista illuminati dalla morbida luce di Vittorio Storaro. Quei colori caldi, quell’atmosfera semi-onirica. Tutti i grandi registi hanno avuto al fianco grandi direttori della fotografia. Il sapiente equilibrio tra luci e ombre, le sottolineature iper-cromatiche, il bianco e nero espressionistico, sono miracoli della visione. E dettano il tono su cui la storia si sviluppa, l’atmosfera che influenza la ricezione delle immagini.

-Puoi consigliare tre film che tutti i siciliani dovremmo vedere?

Cadaveri Eccellenti di Francesco Rosi, La Mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco, A ciascuno il suo di Elio Petri. Credo siano opere di un grande rigore formale ed onestà intellettuale. Ci sono siciliani di scoglio e siciliani di mare aperto, bisogna sapere riconoscere questi due aspetti caratteriali che spesso collidono dentro ogni nostro pensiero e azione. Questi tre film descrivono bene i nostri pregi e difetti. E non a caso due di questi sono tratti da opere di Leonardo Sciascia (Il Contesto, A ciascuno il suo). Queste opere fanno capire perché la nostra regione va ad una velocità differente rispetto alla media del paese.

-Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Come sai ho molto sviluppato la mia parte creativa nella scrittura, prima con le recensioni cinematografiche e poi con la creazione di alcuni racconti. Uno di questi si intitola “Di Guardia a Mobyl” ed ha vinto il II Concorso Letterario Nazionale Moby Dick Gruppo H24 nell’ottobre 2023. Il mio progetto futuro è proporre una sceneggiatura proprio da questo scritto. Ho già diverse idee in testa per costruire questo ponte che metta in connessione letteratura e cinema. Tradurre queste parole in immagini è il mio più grande sogno.

Biografia

Fabio Fulfaro, classe 1968, è un medico appassionato di cinema. Ha trascorso infanzia e adolescenza sulla riviera ligure, a Sestri Levante. Si è specializzato in Oncologia a Milano nel 1996. Vive ed esercita la sua professione a Palermo. Ha frequentato a Bobbio nel 2010 e nel 2011 i seminari di critica cinematografica tenuti da Gianni Canova e Ivan Moliterni. Collabora con numerose riviste online di cinema tra le quali Sentieri Selvaggi (www.sentieriselvaggi.it) . Ha curato diverse rassegne di cinema nelle scuole medie superiori e in ambito universitario con particolare riferimento ad aspetti psicoanalitici ed esperienze gruppali. Ha seguito come recensore importanti Festival Cinematografici come il Festival del Cinema di Venezia, Il Sicilia Queer Film Fest e L’Efebo d’oro. E’ redattore della rivista online di cinema Lo Specchio Scuro (www.specchioscuro.it). Ha pubblicato nel 2017 una monografia sul cinema di Orson Welles “The Other Side of Genius”. Ha collaborato ad altre monografie su registi come Michael Cimino e Jonathan Demme. E’ anche scrittore di poesie e di racconti. Nel 1989 per Ila Palma editore ha pubblicato la sua prima raccolta di Poesie “Il Canto delle Cicale”. Nell’ottobre 2023 il suo racconto “Di guardia a Mobyl” ha vinto il primo premio della seconda edizione del concorso nazionale letterario Moby Dick-H24.