E’ incredibile che l’acqua del fiume Sosio-Verdura, nell’Agrigentino, in un periodo di grave siccità e con le 9 dighe del territorio provinciale a secco, possa essere scaricata inutilizzata a mare. E’ successo per tutta la giornata festiva di ieri quando decine e decine di migliaia di metri cubi sono stati riversati copiosamente per tutta la giornata nell’alveo del fiume, a qualche chilometro da Ribera, davanti alle Gole del Lupo e ai piedi della collina su cui si ergono i resti del castello Poggio Diana, tra lo sconcerto e la rabbia degli agricoltori agrigentini che invocano da mesi le piogge salutari per le colture.
Lo smaltimento dell’acqua si vede anche a qualche chilometro di distanza perché la cascata è ben visibile perfino dalla S.S. 115. Si tratterebbe di uno spreco inaudito quando l’acqua potrebbe essere invasata anche nei laghetti collinari delle aziende agricole che la utilizzerebbero nel periodo estivo. Invece, va a mare, mentre decine di migliaia di agricoltori di tutta la provincia si disperano per la mancanza di precipitazioni atmosferiche che continuano a lasciare all’asciutto le dighe Raia di Prizzi, la Castello di Bivona, la Leone di Santo Stefano Quisquina e il Fanaco di Castronovo di Sicilia.
Il mistero dell’acqua a mare è presto spiegato. Dopo 8 mesi di siccità, è arrivata finalmente 24 ore di pioggia leggera che ha incrementato sorgenti e torrenti che nell’Agrigentino occidentale alimentano la traversa di Gammauta, sul fiume Sosio, tra i Monti Sicani, di competenza e gestione dell’Enel che con l’acqua produce energia elettrica e quando dal piccolo invaso di circa mezzo milione di metri cubi, per evitare che tracimi, viene inviata con una conduttura sotterranea a perdere a mare, nei pressi di Poggio Diana.
Chi denuncia da decenni lo sperpero dell’acqua è il riberese Emanuele Siragusa, geologo, già sindaco e presidente della provincia, ottimo conoscitore del bacino imbrifero agrigentino. “E’ vergognosa l’incuria della politica locale e regionale che permette un tale spreco – dice Siragusa – sono stati spesi anni fa 40 miliardi di vecchie lire per realizzare la bretella Gammauta-Castello che può trasportare 600 litri al secondo con il semplice giro di una manovella e a costo zero. Si preferisce, invece, inviare l’acqua a mare, a fronte di circa 10 mila ettari di frutteto con una produzione lorda vendibile di circa 80 milioni di euro che si raddoppia sempre con l’indotto. Se non pioverà si rischia il collasso di tutta l’economia nei diversi settori della provincia”.
Ogni anno si registra il “deja vu” con amministratori comunali e parlamentari che corrono a Palermo, alla Regione Siciliana, quasi a pietire un po’ d’acqua che tra l’altro gli agricoltori già pagano a peso d’oro al consorzio di bonifica che cura la distribuzione sul territorio. Lo spettacolo dell’acqua a mare è un “attacco” all’economia di una popolazione che vive soprattutto di agricoltura gridano i coltivatori. E’ drammatico che siano pure scomparse le battagliere organizzazioni agricole storiche come la Cia, la Coldiretti, la Confagricoltura”.