Lidia Tilotta è una giornalista impegnata. Si batte per costruire una Sicilia migliore senza barriere e per i diritti degli ultimi e dei migranti, sempre alla ricerca della verità. L’ho conosciuta nella sede Rai di viale Strasburgo me l’ha presentata Silvana Polizzi che su di lei scrive:
”Non sono molto obiettiva, perché siamo amiche. Un nostro caporedattore, il compianto Giancarlo Licata, ci definì “le commari”. E da allora siamo rimaste “commari”. Quando Lidia mi chiama al telefono non mi dice “ciao”, mi dice: commaaare!. Ci unisce un certo modo di vedere il lavoro, i valori, la vita. Per il resto siamo molto diverse. Lei è la mia amica geniale. Io riflessiva e spesso incerta, lei immediata, istintiva, passionale, determinata. Non conosce ostacoli. Stalkerizzò Bartolo, per ammissione di entrambi, per convincerlo a scrivere insieme “Lacrime di sale”. Aveva ragione, la tragedia dei migranti vista attraverso il racconto del medico di Lampedusa fece il giro del mondo. Adesso va per l’Italia con un’altra incredibile storia, Karibu, e c’è in tutto questo un forte impegno etico e sociale. Nelle cose che fa, come si usa dire, “ci mette la faccia”.
Ma andiamo a conoscerla da vicino.
-Quando nasce la tua passione per il giornalismo?
“Ero piccola. Molto piccola. Il ricordo più bello l’ha fatto riemergere una grande amica, collega universitaria di mia sorella, più grande di me di 15 anni e diventata dirigente scolastica. Nel corso di un convegno in cui eravamo insieme ha raccontato che all’età di 7 anni, durante una conversazione a casa sua, dissi chiaramente di voler fare la giornalista o meglio, di voler fare la giornalista alla Rai. Diciamo che avevo le idee molto chiare anche se la vita poi mi ha posto davanti a diverse scelte e possibilità ma alla fine ha sempre vinto quella”.
– Con quali giornali hai lavorato prima di approdare in Rai?
Il mio primo articolo (al netto di quelli per il giornale scolastico che dirigevo) l’ho scritto per una rivista ambientalista che si chiamava Papir. Avevo 17 anni. Il direttore, Gioacchino Lavanco, mi affidò la recensione di un libro di cui non riuscivo a capire nemmeno un rigo. Era estate e allora non esistevano i telefoni cellulari. Ogni giorno dalla cabina telefonica al mare chiamavo Gioacchino e gli dicevo che non riuscivo a leggerlo quel libro figuriamoci a scrivere una recensione. Gioacchino mi liquidava rispondendo: “non mi interessa”. Dopo l’ennesima risposta sempre uguale mi misi di buzzo buono e alla fine scrissi la recensione. Ricordo ancora quando gliela portai. Io seduta di fronte a lui e tremante per il giudizio che mi aspettavo. E invece, dopo la lettura in silenzio con uno sguardo imperscrutabile lui alzò gli occhi, sorrise e rispose: “c…che brava”. Da allora non ho mai smesso e lui è stata la mia prima guida nella scrittura. Ho collaborato con La Sicilia, con settimanali e periodici, con diverse riviste (e qualcuna l’ho pure diretta). Una delle esperienze più belle è stata la radio. Sono stata corrispondente dalla Sicilia per Radio Montecarlo e Radio 105. Il primo collegamento in diretta per loro lo feci tenendo mio figlio neonato in braccio con il biberon in bocca con la paura che si mettesse a piangere all’improvviso. Era un caso perché in quel momento in casa eravamo soli io e lui. E tengo a precisare che se non avessi avuto in tutti questi anni la grande collaborazione di mio marito e della mia famiglia larga non avrei potuto fare nemmeno la metà delle cose che ho fatto. Ma la mia vera passione è stata la televisione. La prima delle emittenti regionali è stata Siciliauno. Otto mesi di pura scuola grazie al mio secondo maestro: Sandro Tito. Era un cronista incredibile che ti insegnava il mestiere anche strappandoti in faccia un testo scritto male se serviva. Sandro è stato fondamentale per la mia formazione. Dopo sono arrivate Telescirocco, Teleregione e poi TRM, vera palestra dove mi sono misurata non solo con il Tg ma con una trasmissione sul campo che si chiamava Agorà e che era una sfida ogni settimana. Facevo i sopralluoghi, ideavo con i colleghi la scaletta e poi via. Una media di 70 persone in platea e 5 ospiti nei luoghi dove accadevano i fatti. Ricordo ancora una diretta da una caserma palermitana per raccontare la fine dell’operazione “Vespri siciliani”. 500 militari, i mezzi schierati. Ma era così ogni volta. Tutto con pochissimi mezzi e risorse, anche umane. E poi l’approdo in Rai. Un breve ma intenso passaggio al Tg con Salvatore Cusimano e poi la grande avventura di “Mediterraneo”, coproduzione internazionale con France3, Rtve e tante emittenti anche della sponda sud e di Rai Med, il canale satellitare della Rai che per primo in Europa iniziò a trasmettere in italiano e in arabo. Tre giornalisti straordinari, Giancarlo Licata, Silvana Polizzi e Danièle Jeammet mi hanno insegnato come raccontare le storie nelle intense trasferte a Lampedusa, in Grecia, Marocco, Tunisia, Cipro. Ho imparato, grazie anche al supporto dei colleghi di quei territori, a scavare in profondità, a conoscere le persone e le loro storie, belle e brutte, ma tutte da raccontare. Fu un’avventura bellissima. Poi il passaggio definitivo in redazione al telegiornale con Vincenzo Morgante. Per Mediterraneo successivamente sono stata anche conduttrice e tra i curatori. Fino alla promozione a vicecaporedattrice, incarico che ricopro attualmente. Spesso fotografiamo le persone nell’attuale ma non ci chiediamo quanta gavetta e quanti sacrifici siano serviti per raggiungere quella posizione.
-Ti senti più una scrittrice o una giornalista?
Sono una giornalista che a un certo punto ha deciso di coltivare la sua altra grande passione ma con un obiettivo ben preciso. L’impegno sociale e civile. I miei primi due libri “Lacrime di Sale” scritto con Pietro Bartolo e “Karìbu” scritto con Cristina Fazzi sono strumenti per far passare messaggi diversi dalla propaganda alla quale spesso assistiamo. Dal 2016 giro, giriamo, per le scuole di tutta Italia per raccontare le storie di uomini, donne e bambini che scappano dalla fame, dalla guerra, dalle catastrofi naturali, dalle persecuzioni. Raccontiamo cosa accade e perché accade chiedendo ai ragazzi di mettersi dalla parte dell’altro. Ma raccontiamo loro anche cosa vuol dire veramente “aiutiamoli a casa loro” e perché ci sono modi diversi di attuare la cooperazione internazionale. Alla fine tutti dicono “non pensavamo che fosse così”. Bisogna incontrare i ragazzi, parlare con loro“faccia a faccia”, senza la mediazione di uno schermo. E’faticoso, soprattutto se lo si fa nei giorni liberi o di ferie ma alla fine è utile, anzi, necessario”.Vorrei anche aggiungere che quando si scrive una racconto, un romanzo, una raccolta di poesie si risponde a sé stessi ma quando si diventa la voce dell’altro è differente. E’ una responsabilità doppia. Per entrambi i libri ho avuto accanto nella prima lettura delle bozze quelle che definisco le mie “editor del cuore”:Silvana Polizzi, che avete già capito da questa intervista chi sia, e mia sorella Carmela. Per me la loro valutazione è imprescindibile.
-Qual è il potere e la forza di una notizia?
Il problema non è la notizia è come la si racconta. E’quanto la si approfondisce. E’come la si verifica. Siamo in un tempo in cui la semplificazione e la velocità ci espongono sempre più alle fake news, ai titoloni sparati per ottenere il cosiddetto “click baiting”. Solo Google elabora ogni giorno 3,5 miliardi di ricerche. I nuovi media, ma soprattutto i social media, espongono il fruitore delle notizie a rischi notevoli soprattutto se chi legge non ha gli strumenti per distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. E questo è ancora più grave quando parliamo di ragazzini e ragazzine e perfino di bambini e bambine.
-Quanto è difficile fare la giornalista?
Mi piacerebbe che nel raccontare, nel discutere nei talk show, si smettesse di urlare e si provasse ad approfondire. Faccio un esempio. La cronaca dei femminicidi è diventata quasi una conta, esattamente come avviene per la cronaca delle migrazioni. Dovremmo raccontare meglio perché sta accadendo tutto questo. Perché facciamo fatica a scardinare una logica del possesso maschile in una società che non sa ripensare sé stessa dopo la destrutturazione dei ruoli, a partire da quelli familiari. Sarebbe bello, ad esempio, coinvolgere i giornalisti e le giornaliste in percorsi da avviare nelle scuole, a partire dalle elementari, per affrontare questi temi. Quando si insegna a un bambino a fare la raccolta differenziata nella maggior parte dei casi quel bambino “imporrà” alla sua famiglia di differenziare i rifiuti. Se si insegna a un bambino a ripensare il rapporto tra i generi, quel bambino non solo riporterà quel ripensamento nella sua famiglia ma diventerà un adulto consapevole.
-Quali consigli ti senti di dare ad un giovane che sogna di fare il giornalista?
Molti miei colleghi scoraggiano i giovani che vogliono fare il nostro mestiere. Io no. E’dura, è difficile ma oggi più che mai non esistono professioni “facili” o scorciatoie. Io dico sempre ai ragazzi che bisogna provare a fare nella vita ciò che ci appassiona. Il tempo dedicato al lavoro è preponderante nella nostra esistenza e se si finisce per fare un lavoro che non piace sarà frustrante. Bisogna avere la consapevolezza però che i sacrifici sono tanti e che occorre studiare, prepararsi e non risparmiarsi.
-C’è una persona che hai intervistato che ti ha lasciato un segno?
Tantissime persone in trent’anni di lavoro e di incontri mi hanno lasciato segni. Per ciò che sono o sono state, per il loro impegno. Ho ricevuto stimoli e sollecitazioni alla riflessione da Michail Gorbačëv tanto quanto da Mustafà, arrivato a Lampedusa all’età di 5 anni dopo aver perso in mare la madre e la sorellina. L’ho incontrato l’anno successivo al suo arrivo in una casa famiglia con una voglia di imparare e di guardare alla vita incredibili.
-Oltre ad essere giornalista, come scrittrice hai pubblicato dei libri che hanno fatto storia: Lacrime di sale con il dottore Pietro Bartolo tradotto in 15 lingue e Karìbu con Cristina Fazzi. Sia Pietro Bartolo che Cristina Fazzi sono dei medici impegnati ed affermati.
Bartolo adesso è parlamentare europeo ma all’epoca dei fatti era colui che accoglieva e visitava gli uomini, le donne e i bambini che arrivavano al molo Favaloro di Lampedusa. Cristina è un medico ma soprattutto una donna straordinaria che ha deciso di donare la sua grande professionalità e umanità dove più c’è bisogno. Entrambi si sono messi a disposizione quando ho chiesto loro di scrivere un libro che servisse come strumento di conoscenza e di confronto.
-Secondo te le donne sono riuscite ad esprimere i loro sogni o c’è ancora molto da raccontare?
Le donne sono diverse a seconda delle opportunità che hanno nella vita, della condizione economica e sociale che vivono, della formazione che hanno ricevuto e ricevono e in questo caso parlo anche di chi è nata e cresciuta in famiglie agiate. Non ho mai amato ragionare per categorie proprio perché non amo la semplificazione e credo nel valore della complessità.
-Perché non si riesce a fermare la violenza contro le donne, qual è la cosa immediata da fare oltre alle leggi che già ci sono?
In parte ho già risposto. Serve una educazione sentimentale e sessuale a partire dalla scuola elementare. Altrimenti continueremo a perpetrare modelli e comportamenti sbagliati.
-Qual è il futuro dei giornali cartacei, tra dieci anni leggeremo le informazioni sul web?
Non lo so. E’un mondo in continua evoluzione. Io spererei che continuassero a vivere ma non è semplice. Il web vuol dire tutto e vuol dire niente. Ci sono quotidiani o periodici on line di grande valore e c’è invece anche altro. Ma anche il mondo della carta stampata non è tutto uguale. Anzi.
-Sottovoce:pensi che l’informazione in Italia sia veramente obiettiva?
Credo che occorra ripensare profondamente il modo di fare informazione nel nostro Paese. A tutti i livelli. E credo che noi giornalisti dobbiamo riflettere su come lavoriamo, su come poniamo le domande, su come approfondiamo e raccontiamo i fatti. C’è tanto lavoro da fare.
-Cosa provi quando sei in onda in Tv?
Io amo, anzi amavo, perché al momento nel mio nuovo ruolo da vicecaporedattrice non vado più in onda, essere in diretta a raccontare i fatti. Lampedusa è stata in questo una palestra fondamentale con dirette continue per tutti i Tg Rai e una quantità di adrenalina enorme nonostante le notti insonni. Emozioni e sensazioni intense e indescrivibili. E poi ho amato molto la conduzione di Mediterraneo e del telegiornale perché mi piaceva essere il tramite tra il lavoro dei colleghi e i telespettatori. Mi piaceva pensare di parlare con chi ci guarda come se lo schermo non ci fosse proprio. E’una bella sensazione, molto bella. Tempo fa la nostra sede è stata visitata come luogo del Fai e mi ha colpito molto una signora che mi ha detto: “voi entrate ogni giorno nelle nostre case informandoci e aiutandoci a capire e oggi siamo noi che entriamo nella vostra casa ed è molto bello”. E’ stato un regalo, un bel regalo.
-Hai scritto: “L’amore che si dona agli altri torna sempre moltiplicato”…
Se imparassimo tutti a guardare all’altro, al noi invece che all’io, tutto sarebbe diverso. Papa Francesco ci ha donato delle magnifiche encicliche in cui questo concetto emerge con forza. Aiutare chi è in difficoltà fa stare bene, ci arricchisce e ci fa crescere. Dà un senso a ciò che siamo. E l’altro elemento fondamentale è la creazione delle reti. Occorre mettere in moto meccanismi virtuosi e lavorare insieme a tutti quei soggetti, quelle associazioni che sono impegnate nei territori per migliorare tessuti sociali sempre più degradati.Per rispondere ai bisogni e difendere i diritti.
-Sei stata più volte in Africa. Cosa hai provato alla vista di quei luoghi meravigliosi, a contatto di tanta gente povera alla quale è stato tolto tutto?
Io sono stata in Tunisia e in Marocco diverse volte ma non sono mai stata nell’Africa subsahariana. Ho visitato i villaggi poverissimi da cui partivano, e spesso morivano in mare, persone anche giovanissime. Ho intervistato vedove ragazzine, madri che hanno perso i propri figli. Ho visto la povertà, quella vera e per questo mi indigno quando si fa differenza tra i migranti che scappano dalla guerra e quelli che scappano dalla fame. Anche perché se non si scardina un modello economico che tiene schiacciata la maggior parte del mondo per far vivere i ricchi di pochi Paesi al di sopra delle possibilità del pianeta tutto questo non finirà mai.
-Riavvolgendo il nastro della tua vita, rifaresti le stesse cose che hai fatto finora?
Sì, tutte. Ho 52 anni ma ne sento addosso 30 se penso a ciò che ho voglia ancora di fare e 80 se penso a ciò che ho già fatto. Non rinnego nulla, nemmeno gli errori e i passi falsi. Sono soddisfatta soprattutto di non aver mai smesso (ho iniziato a 13 anni in forma diversa) di impegnarmi socialmente. Perché è da quell’impegno che ho avuto e ho le maggiori soddisfazioni. Ognuno di noi, qualsiasi cosa faccia nella vita, ha un ruolo sociale ed è importante che lo eserciti.
-Palermo e i fuochi dolosi… Quale progetto c’è dietro il fuoco?
Ci sono interessi diversi che vanno stanati e puniti. Serve un’azione investigativa rigorosa e un’opera di prevenzione altrettanto seria.
-Palermo e la mafia è una storia tutta ancora da raccontare?
Ancora da raccontare. Mai smettere di farlo. Non solo Palermo però. Perché parliamo di fenomeni sovranazionali. Che si modificano, cambiano pelle ma sono ancora vivi e vegeti. Due cose però non condivido. Cedere al gossip come è spesso avvenuto ad esempio, dopo la cattura di Messina Denaro. E poi mitizzare, come spesso avviene nelle fiction, i personaggi mafiosi con rischi enormi di emulazione.
-Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ne ho tanti, in continuità con ciò che ho fatto e faccio. Quest’anno, ad esempio, abbiamo messo in piedi con l’associazione Pro Loco San Teodoro, la prima Summer School di scrittura creativa sui Nebrodi di cui sono direttrice artistica. La prima edizione è stata un’esperienza stupenda. Dieci ragazze e ragazzi che hanno tirato fuori, grazie alla scrittura, tutto ciò che avevano dentro, nel bene e nel male. Sono stati giorni di condivisione totale, a contatto con la natura, e ciò che è venuto fuori è stato molto più che un percorso di apprendimento di tecniche di scrittura. E’ l’ennesima sfida e vogliamo rilanciarla ancora.E poi il progetto dei progetti: scrivere, scrivere, scrivere.
Biografia
Lidia Tilotta, siciliana, giornalista professionista dal 1998, è vicecaporedattrice della Tgr, la testata regionale Rai. E’stata inviata, conduttrice e cocuratrice della trasmissione nazionale “Mediterraneo” della Tgr in onda su Rai3. Si è occupata più volte dei migranti e di Lampedusa ed è stata inviata anche a Cipro, in Marocco, Tunisia e Grecia.
Con Pietro Bartolo, medico lampedusano oggi europarlamentare, nel 2016 ha pubblicato Lacrime di sale, edito da Mondadori, un successo straordinario per il libro tradotto in 15 lingue, in cui vengono raccontate le storie di chi sbarca sull’isola siciliana, argomento che la vede impegnata di continuo.Con la dottoressa ennese Cristina Fazzi, che vive da 23 anni in Zambia, ha scritto Karìbu che racconta la vita e l’impegno di una donna fuori dal comune per un’idea ribaltata di “Aiutiamoli a casa loro”. Ha svolto e svolge seminari in scuole e università di tutta Italia e per la Northeastern University di Boston. E’ stata direttrice artistica per la parte letteratura del SalinaDocfest, il festival del documentario ideato e diretto da Giovanna Taviani. Svolge laboratori di scrittura per il Master della Strada degli Scrittori realizzato in collaborazione con Treccani. E’ direttrice artistica della Summer School di Scrittura Creativa “Sotto il bosco di latte” che si svolge a San Teodoro sui monti Nebrodi.