Ritratti: artiste del nostro tempo. Maurizio Piscopo incontra Emiliana Perina

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Ho conosciuto Emiliana Perina nel 1980 al Teatro Stabile di Catania nello spettacolo Pipino il Breve di Tony Cucchiara. La sua voce e i suoi modi eleganti mi hanno affascinato subito. Si vedeva che la ragazza aveva studiato molto e che aveva delle doti fuori dal comune e che era una fuoriclasse. Nello spettacolo teatrale le musiche dal vivo erano state affidate al Gruppo Popolare Favarese che allora era formato da me, Antonio Zarcone, Antonio Lentini e Pippo Russo. Spesso con Emiliana discutevamo nei camerini, nei ristoranti e alla fine di ogni spettacolo. Sono momenti indimenticabili quelli vissuti al teatro Biondo di Palermo, al teatro Argentina di Roma, alla Pergola di Firenze e al teatro Alfieri di Torino, al teatro comunale di Bolzano, solo per citarne alcuni. Quello spettacolo è nato con la camicia grazie all’interpretazione di Tony Cucchiara, Emiliana Perina, Tuccio Musumeci, Pippo Pattavina, Anna Malvica, Leonardo Marino, Mimmo Mignemi, Angelo Tosto, Camillo Mascolino e altri bravissimi attori.

-Quando nasce la tua passione per la musica ?

La passione per la musica è praticamente nata con me, da quando avevo 4 anni. I miei gestivano una trattoria bar nella vecchia Milano, erano case di ringhiera e noi avevamo l’unica televisione del palazzo, così le famiglie affollavano il locale dopo cena e io mi esibivo sui tavoli scimmiottando le cantanti dell’epoca: da Mina alla Pavone, da Patty Pravo alla Vanoni, mi pagavano con caramelle e gelati e io assaporavo il piacere della notorietà, il mio obiettivo era piacere e il canto era la formula più facile per ottenere il mio scopo…

-Ricordi la prima canzone che hai cantato?

La prima canzone che ho cantato in pubblico all’età di 11 anni, è stata “sette son le note”di Sandie Shaw. Partecipai per gioco ad un concorso e mi presero, il Festival si svolgeva a Recco e mia madre mi accompagnò, conduceva lo spettacolo Mike Bongiorno e disse: questa ragazza non ha bisogno di cantare scalza per prendere le note.

-Come eri da bambina?

Ero una bambina molto determinata; a nove anni mi presentati davanti ai miei genitori con le mani sui fianchi: volete che mi promuovano? Bene! Allora voglio studiare la musica! E fu così che dal mio primo maestro Vittorio Pinotti, ho appreso la teoria, il solfeggio e l’armonia, ma a fine lezioni il maestro mi faceva cantare le canzoni di Battisti: perché “se te me le cantet ti, me piasen, se nò no”! Il suo studio era in Galleria del Corso, la sede della migliore discografia italiana di quel periodo. Entravano per vedere chi stesse cantando e a 11 anni ebbi il primo contratto discografico e il primo disco: Barbablu di Augusto Martelli con il nome Emy e “Cento nuvole” con il nome Emy Castellini.

-Insegni recitazione, canto e dizione. Come bisogna parlare in pubblico?

Dopo il cinema come attrice all’accademia del piccolo teatro di Milano e 30 anni di carriera nella commedia musicale e nella prosa, mi sono dedicata all’insegnamento. Le mie materie vanno dalla voce alla dizione, al canto, si passa dalle tecniche di respirazione, all’espressività, alla comunicazione. Per un attore parlare in pubblico è quasi congenito, ma chi si approccia a questa professione fa subito i conti con le difficoltà del percorso e il raggiungimento di quella agognata naturalezza, che di naturale ha ben poco, ha più a che fare con l’introspezione e la ricerca, la sintesi e l’ascolto e richiede anni di allenamento e di studio.

 

-Hai partecipato a Settevoci con Pippo Baudo, al Festival di Sanremo. Che ricordo hai di queste esperienze?

A Settevoci avevo 13 anni e a Sanremo ne avevo 15, venivo dal Jazz e dal Rythm and Blues ed ero molto più appassionata alla ricerca del mio percorso artistico, che al gradimento di chi comperava i dischi, diciamo pure che le mie aspirazioni non combaciavano con le richieste di mercato. Ma sono state esperienze interessanti che hanno inevitabilmente influito sul corso della mia vita.

-Com’è diventata la Tv rispetto a quella che hai conosciuto nei tuoi anni?

La televisione, un po’ come tutte le espressioni artistiche, in questo periodo hanno subito un’inarrestabile decadenza, soprattutto sul piano dell’intrattenimento, troppa attenzione agli ascolti e nessuno alla qualità. Mi ritengo molto fortunata, ad avere svolto la mia attività, in un’epoca che lasciava ancora posto alla meritocrazia! Non so, se al giorno d’oggi, avrei potuto avere tante opportunità, senza nessun appoggio. Mi spiego meglio, oggi la domanda non è: Sei capace di fare questa cosa meglio degli altri? Ma quanta gente riesci a muovere per vedere te che fai quella cosa, anche se magari non ne sei capace? Devo però riconoscere, che dalla pandemia in poi, ho visto fiorire canali culturali, trasmissioni di approfondimenti e documentari che tornano a porre l’attenzione sull’intelligenza del pubblico e non sulla banalità.

-Quando hai scoperto il teatro?

A 17 anni son andata al Piccolo Teatro di Milano e ho visto il Re Lear di Giorgio Strehler; è stato amore a prima vista. Mi sono detta, ecco questo è il mio pubblico! Questo è il mio palcoscenico. Mi iscrissi all’accademia d’arte drammatica del Piccolo teatro di Milano e lì, passai il periodo più bello della mia vita, mi sentivo amabilmente al mio posto! E anche lì sono stata molto fortunata! Ho avuto modo di lavorare con attori del calibro di Alberto Lionello, Paola Borboni, Giusy Raspani Dandolo, Eros Pagni, Roberto Herlitzka, Glauco Mauri, Dario Fo, Franca Rame, Ottavia Piccolo…

A scuola ero la più giovane ed ero convinta di essere la meno preparata, perché non ero mai stata in un teatro prima di allora, ma mi accorsi presto, che tutte quelle storie io le conoscevo già, erano le trame delle commedie in diretta sulla Rai, che i miei genitori mi permettevano di vedere solo se ero andata bene a scuola e io andavo bene, perché quelle storie mi piacevano un sacco! Solo in accademia dovevo scoprire che si chiamavano i Fratelli Karamazof, “Questa sera si recita a soggetto”, “Anna Karenina”, “Arlecchino servitore di due padroni” eccetera… e solo allora imparai i nomi di quelle fisionomie a me già tanto care: Tino Carraro, Buazzeli, Valeria Morriconi, Lina Volonghi, Pupella Maggio… Insomma era un amore annunciato e la televisione aveva svolto il suo ruolo di servizio pubblico!

-Che cos’è il Teatro per te?

Il teatro per me, rappresenta la libertà: libertà di proporre, di inventare, di giocare, ma anche libertà di partecipare, di cambiare, di criticare. E’ un luogo di confronto e di crescita. E’ il mio luogo dell’anima!

-Un tuo ricordo di Dario Fo e Franca Rame…

Il mio rapporto con la coppia Fo- Rame è cominciato casualmente; nel 90, il mio unico fratello, rimase prigioniero a Bagdad, durante la Guerra del Golfo e mio marito Alessandro Balducci che lavorava già da qualche anno nella compagnia Fo- Rame mi suggerì di rivolgermi a loro,

 

Franca fu l’unica persona a rispondere al mio appello! Parlò subito con Mario Capanna, che era sul posto per occuparsi degli ostaggi e nel giro di due ore, potei sentire la voce di Carlo che mi rassicurava! Parlarne oggi, a fatto concluso e concluso nel migliore dei modi, sembra retorico! Ma io non ho mai smesso di provare gratitudine per quel gesto! Con loro ho recitato in “Zitti stiamo precipitando” e aver lavorato con mostri sacri di questa portata, rappresenta per me un grande onore, oltre che una scuola di livello universitario.

-Come sei arrivata al teatro stabile di Catania?

Allo stabile di Catania mi ci portò Tony Cucchiara e mi prese con Pipino il breve e Berta dal gran piè nel 1979. Nel 72, il mio amico e compagno di squadra Leonardo Marino, mi invita a teatro a vederlo nel Caino e Abele e mi presenta Tony Cucchiara, rimango folgorata dalla canzone “Quante miserie”. Un anno dopo, Leonardo mi invita a sostenere un provino per il ruolo di Mariarosa, nel nuovo musical di Tony: “Storie di periferia” lo vinco e per i 30 anni successivi entro a far parte del Clan dei Cucchiara. A Tony piaceva raccontare, che il giorno in cui mi chiamò per la ripresa del Caino e Abele non chiesi nulla della paga, né delle date, né delle condizioni ma solo, mi fai cantare “Quante miserie”? Allora dimmi quando devo esser lì! Devo molto a Tony 30 anni di carriera, spettacoli, che sono rimasti nella storia del musical come “Pipino il Breve e Berta dal gran piè”, “La Baronessa di Carini”, “Stracci”, “Canta e cunta”, “La ballata del bene e del male” e le mille riedizioni del Caino e Abele e di tutti gli spettacoli citati fin qui. Tony era casa, famiglia, gruppo, devo a lui l’aver calcato palcoscenici prestigiosi: come il Piccolo Teatro di Milano, il Teatro Argentina di Roma, gli storici teatri di Broadway e Buenos Aires, il citato teatro stabile di Catania con cui ho collaborato tanti anni. Gli devo l’esperienza magica di avere un autore che scrive per la tua voce e ti permette di costruire un personaggio dal nulla! Ma oggi non c’è più, mi manca soprattutto la sua amicizia.

-Che fine ha fatto quell’anonimo ammiratore che ti seguiva in tutti i teatri con un mazzo di rose tra le mani?

Si c’era qualcuno che mi faceva trovare dei fiori senza biglietto in camerino, ma sinceramente non ho mai saputo chi fosse!

-Che ricordo hai di Leonardo Marino continui a cantare con lui?

Leo è l’amico di sempre ! Ci conosciamo da oltre mezzo secolo e abbiamo vissuto le esperienze più belle e quelle più drammatiche fianco a fianco, a volte ci capita ancora di cantare insieme, ma le occasioni oggi sono diminuite, anche perché io continuo a vivere a Milano, mentre lui dal 90 non si è più mosso da Catania.

-Che ricordo hai del Gruppo Popolare Favarese?

Il Gruppo Popolare Favarese ha sostituito i Dioscuri nel Pippino il breve . Entrambi i gruppi musicali sono rimasti nel mio cuore, come il compianto Pippo Russo! Con loro ho condiviso tanta musica, tante emozioni e tantissime risate!

-Emiliana Perina e la Tv…

Ho fatto tanta televisione, recitando in sitcom come: “Casa Vianello”, “Nonno Felice”, “I cinque del quinto piano”, “Casa dolce casa”, “L’Italia allo specchio”…

-E del cinema che mi puoi dire?

Nel cinema ho lavorato con Michele Placido in “Un eroe borghese” e con Antonio Albanese in “L’intrepido”. Devo confessare, che la mia passione non è mai stata la telecamera, io amo il contatto con il pubblico!

-Cosa pensi della violenza sulle donne?

Non ci può essere che una posizione di condanna, sull’argomento della violenza sulle donne. L’unica cura comincia dall’educazione: ci vuole la collaborazione della famiglia, della scuola e della società, per estirpare questo cancro dalla mente dell’essere umano.

-Cosa stai facendo in questi giorni?

In questi giorni sono in Puglia e coltivo la mia seconda passione: il mare! Io e mio marito siamo velisti e cerchiamo di trascorrere più tempo possibile immersi nella natura.

-Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Non penso troppo al futuro, in questo periodo così incerto e complicato, mi contento di vivere il presente, godendo il più possibile di tutti i doni che ho avuto dalla vita: famiglia, amici, i miei allievi adorati, la musica, il teatro e anche, come hai potuto constatare, tanti bellissimi ricordi!

Biografia

Emiliana Perina è nata a Milano il 22 maggio del 1954 è una cantante e attrice italiana.

Nel 1970 ha debuttato come cantante di musica leggera, partecipando al Festival di Sanremo, e, in séguito, ad altre manifestazioni musicali in Italia ed all’estero, ed incidendo diversi dischi -singoli ed album- sia come solista che come vocalista.

 

Nel 1976 si è diplomata attrice presso la Scuola d’Arte Drammatica “Piccolo Teatro” di Milano. Da allora ha cantato e recitato con le più importanti compagnie di prosa e commedia musicale, ricoprendo quasi esclusivamente ruoli protagonistici.

 

Fra i tanti nomi e circostanze, Garinei e Giovannini; i Teatri Stabili di Genova, Catania, Palermo e l’Aquila; le rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa; Dario Fo, Maurizio Scaparro, Glauco Mauri, Marco Sciaccaluga, Lamberto Puggelli, Carlo Quartucci e Filippo Crivelli.