È apparso facendosi spazio, con impeto, tra la fumata bianca e la Chiesa dello Ior; tra cardinali smarriti sulle rive del Tevere e tramortiti da Watileaks e dai casi di pedofilia. “Venuto dalla fine del mondo”, a sorpresa, quasi per dire basta.
Un Vescovo, un Pastore, come lui stesso si è definito, definendo così anche il suo predecessore. Quel Benedetto XVI al quale ha dedicato il primo pensiero e la prima preghiera. Un Pastore che vuol camminare insieme al suo popolo, rompendo gli schemi, archiviando gli scandali. Semplicemente ripartendo, rifondando, ridando coraggio e speranza.
Un obiettivo da perseguire con coraggio, sicurezza, sorrisi, forza, umiltà, aiuto. Ritornando alle origini. Magari mettendo da parte ricchezze e lusso. Quelle ricchezze e quel lusso che la Chiesa osteggia, ma al tempo stesso mostra da secoli. Proprio per questo la figura di Papa Francesco è risultata ingombrante all’interno del Conclave nel 2005; proprio per questo è già forte adesso. Perché da lì, lui, ha lasciato intendere di voler partire, anzi ripartire. Punto e a capo. Da lì: dalla scelta di un nome senza precedenti; da quel concetto di povertà ed evangelizzazione; da uno sguardo che minaccia i potenti, rivolgendosi ai deboli; dalla volontà, lasciata intuire seppur in quei primissimi pochi minuti, di voler spogliare la Chiesa delle sue ricchezze, appunto. Dei suoi mantelli e dei suoi ori; dei suoi tesori e dei suoi misteri occulti, a cominciare da quelli dello Ior; dai suoi scandali e dalle sue lotte interne.
Un uomo di rottura, ecco, questo sembra già essere Papa Francesco. Questo mi auguro che sia. Un Pastore sullo stesso piano del suo popolo e non un piedistallo sopra. Un Pastore che ci prenda per mano nel segno della povertà – intesa soprattutto come scelta – e della preghiera. Con quella croce semplice, non d’oro, ma di metallo, coerente con la parola di Dio. Segno di un qualcosa che forse sta davvero per cambiare. Che quantomeno, ci dà fiducia e ci fa sognare, finalmente.