Personaggi del nostro tempo Maurizio Piscopo incontra Alessia Fazzi

201

 

 

Il 19 agosto durante il Festival “Questa è la mia terra e io la difendo”, che si svolge a Campobello di Licata, giunto alla terza edizione, ho conosciuto Alessia Fazzi. E’ venuta appositamente da Ragusa per questo incontro con i giovani provenienti da ogni parte d’Italia. Generosamente ha voluto omaggiarmi la sua tesi di laurea su Danilo Dolci. Alessia è una ragazza molto interessante, multitasking. Ha fatto e continua a fare molto volontariato. Si occupa di legalità per il bene comune, dei problemi dei migranti, di Save the children, (volontari per l’educazione), dell’associazione Antigone volontariato presso il difensore civico dei contenuti. E’ una maestra impegnata nel sociale, che ha elevate competenze relazionali con bambini e adolescenti. Confesso, che sono rimasto affascinato dalla sua dolcezza e dalla sua cultura legata ad un continuo impegno civile. Alessia vive a Ragusa Ibla e nel tempo libero guarda qualche film. Le piace camminare, (è un’attività che preferisce fare in solitaria per ammirare i paesaggi e riflettere con sé stessa). Ad Alessia desidero porre qualche domanda per farla conoscere ai lettori di Ripost che mi seguono ogni settimana con affetto.

-Quando nasce il tuo amore per i libri e qual è il potere di un libro?

L’amore per i libri mi accompagna sin da piccola. Sono cresciuta in una famiglia piuttosto numerosa e a prendersi cura di me quando i miei genitori lavoravano, era soprattutto il mio secondo fratello che, quando sono nata, aveva appena iniziato a frequentare il Liceo Classico. Sono, dunque, cresciuta con un sottofondo di filosofia, storia, miti e tragedie greche. Credo, che ci sia una buona parte di ereditarietà in questa passion, che porto con me ancora oggi. E proprio dalla tragedia greca attingo per spiegare quale, secondo me, è il potere di un libro. La lettura ha, a mio parere, un potere taumaturgico: riesce a meravigliarmi e a “curarmi”. Proprio come succede con i farmaci, scelgo i libri in base a ciò che in quel momento voglio “curare” di me stessa, sia una lacuna storica o il bisogno di viaggiare con la fantasia.

-Ho letto che bisognerebbe leggere soltanto i libri che mordono e pungono…Qual è la tua opinione?

Proprio perché, per me, la lettura ha un potere taumaturgico, ritengo che vadano letti libri che mordono e pungono in quei periodi della vita in cui si ha bisogno di uno nuovo stimolo, di uno “scossone”. Ma ritengo sia altrettanto necessario leggere libri che possano anche essere in grado di lenire e alleggerire lo spirito. Per me un libro del genere, nel quale mi rifugio spesso nei momenti più delicati, è “Così parlò Zarathustra” di Nietzsche.

-“Il libro appartiene a quella generazione di strumenti che una volta inventati, non possono essere più migliorati, come la forbice, il martello, il coltello, il cucchiaio, la bicicletta”. Puoi commentare questa frase di Umberto Eco?

Trovo che questa frase sia estremamente importante e veritiera. I libri sono l’espressione massima della cultura e del pensiero umano, lo specchio della società. Non a caso, infatti, diventano spesso (come oggi i giornalisti) nemici dei regimi totalitari. Basti pensare al rogo dei libri del 1933 ad opera dei nazisti. Perché appiccare quell’incendio? Perché in quelle pagine persistevano pensieri e idee che spaventavano un regime liberticida che ha fatto dell’oppressione e della censura il suo punto di forza. Ecco che, come afferma Umberto Eco, i libri rimangono strumenti sublimi, di cui non dobbiamo e non possiamo fare a meno. Sta all’uomo saperne fare buon uso.

-Cambia qualcosa se Dio si mette a scrivere?

Io non penso che Dio si metta a scrivere. Penso, piuttosto, che Dio ci fornisca tutti gli strumenti: pagine bianche da riempire, inchiostro, penne da ricaricare. Ma sta a noi scegliere le parole da mettere giù. Sarebbe facile pensare che esista un Dio che decide cosa scrivere, trovo che questa sia soltanto una giustificazione che deresponsabilizza l’uomo. E trovo che i risultati di questo processo siano ben visibili quando addirittura, come ai tempi delle crociate, si arriva a giustificare un genocidio in nome di un qualsiasi Dio e di una terra da lui promessa.

-Walter Pater ha scritto: – “I libri sono dei rifugi, una sorta di chiostro protetto dalle volgarità del mondo”

e Jorge Luis Borges ha affermato, che non è stato Dio a creare il mondo, ma sono i libri ad averlo creato. Cosa ne pensi?

Sono totalmente d’accordo con le due bellissime citazioni riportate. Vivo da sempre la lettura come la possibilità di scegliere liberamente il luogo, le pagine, le storie in cui costruire il mio rifugio dalla realtà, come dice Walter Pater. E penso, altresì, che un “mondo nuovo” possa essere ricostruito ogni volta che un libro viene iniziato e portato a termine. Non so se è stato Dio a creare il nostro mondo, ma so per certo che i mondi restituiti dai libri possono essere vari: dai più paurosi (mi viene da pensare a “1984” di Orwell) ai più fantasiosi (penso ai personaggi inventati dallo scrittore spagnolo Carlo Ruiz Zafon e a quante volte mi sono persa tra le righe dei suoi romanzi.)

-Qual è la città che ami di più?

Non penso di avere una città del cuore, ma posso dire che ogni posto che ho visitato ha lasciato in me qualcosa. Esistono città che mi portano alla mente ricordi più importanti di altri, ma cerco di legare l’amore alle persone che vivo piuttosto che ai luoghi fisici. La città che amo, la mia “casa”, oggi, è una persona, non un posto.

-Cosa possono fare le donne per cambiare il mondo in cui viviamo?

Le donne, da sole, niente. Gli uomini, da soli, niente. Il cambiamento vero e radicale, a mio parere, non è una questione di genere, ma di umanità. Occorre ritrovare l’essenza del nostro essere umani, il motivo del nostro essere-nel-mondo che, come dice Heidegger, trova fondamento nell’aver cura di noi, dell’altro, di ciò che ci circonda. Le donne hanno un potere immenso, nonostante da secoli siano considerate “il sesso debole”, ma nessuna lotta può essere portata avanti in maniera isolata. Occorre, invece, un’ottica intersezionale: solo intrecciando battaglie e rivendicazioni, queste trovano la forza per essere vinte.

-In Sicilia si dice ancora: “Nuttata persa è figlia femmina”. Puoi commentare questa espressione?

Devo dire che, da siciliana, non avevo mai sentito questo detto popolare. E menomale, aggiungerei. Lo trovo parecchio maschilista. Leggo dietro a queste parole un bruttissimo accostamento tra la figura femminile e la perdita di tempo. Come se aspettare una “figlia femmina” significasse sprecare il proprio tempo nell’attesa del figlio maschio, fonte di unica gioia.

-E’ vero che anche la Bibbia è maschilista?

Lo pensavo fino a prima di avere l’onore di ascoltare la presentazione del libro “Il Dio dei nostri padri: il grande romanzo della Bibbia”, di Aldo Cazzullo. Durante questa presentazione, lo scrittore ha, tra le altre cose, spiegato come la Bibbia, accusata di maschilismo, sia anche il primo libro in cui si parla della figura femminile anche in maniera centrale. Ritengo, che la Bibbia abbia probabilmente contribuito a diffondere stereotipi sulla figura della donna (ad esempio, è Eva che viene dipinta come tentatrice e Adamo come il “pover’uomo” che cede), ma non si deve dimenticare che ogni libro è frutto anche del periodo storico, e dunque delle categorie di pensiero, in cui esso viene scritto. Altra cosa è la strumentalizzazione dell’opera che viene spesso adoperata. Utilizzare la Bibbia per avallare idee retrograde, maschiliste e frutto della cultura patriarcale, è un’aberrazione compiuta dall’uomo, che prescinde dalla natura dell’opera.

-Gli uomini dicono di amare le donne e poi le ammazzano all’interno delle mura di casa. Cosa si può fare per fermare questa tragedia?

Educare, ecco cosa occorre fare. Occorre educare i nostri bambini, i nostri ragazzi, all’empatia, al rispetto, al consenso. È necessario che crescano con la capacità di accettare i rifiuti di qualsiasi tipo e di comprendere come gestire la frustrazione che può derivarne. Ma finché si continuerà a percorrere la strada del “non tutti gli uomini sono uguali”, la battaglia per sradicare la violenza contro le donne non potrà essere vinta. È necessario che ogni uomo riconosca di essere parte del problema, parte di questo sistema patriarcale da sovvertire. Solo quando tutti gli uomini lotteranno al fianco i tutte le donne, quando si capirà che la violenza è una piaga che interessa tutta la società indistintamente, nessuno escluso, allora si che si potranno gettare le basi per un vero cambiamento.

-Chi sono i tuoi scrittori di riferimento?

Uno l’ho già citato, Zafon. Ma apprezzo tanto anche Alessandro D’Avenia.

-Perché hai scelto Danilo Dolci per la tua tesi di laurea?

La stesura della mia tesi è stata un pò controversa. Avrei voluto che il mio elaborato si concentrasse sul ruolo dell’educazione nella prevenzione e nel contrasto alle mafie. La scelta di Danilo Dolci, in realtà, deriva dal mio relatore: è stato lui a consigliarmi di approfondire questa figura che, a dir la verità, io stessa sconoscevo. Inizialmente contrariata dal fatto che l’argomento fosse stato quasi “imposto”, ho poi capito che, in realtà, questa scelta mi stava dando l’opportunità sia di conoscere una figura fondamentale del panorama culturale italiano, sia di approfondire la tematica che io stessa volevo trattare, ma sotto una luce nuova e più ampia. Devo tantissimo al mio relatore.

-Perché si parla così poco del sociologo triestino che voleva cambiare la Sicilia a mani nude?

Come affermo all’interno della mia tesi di laurea, ritengo che la figura di Danilo Dolci sia stata ingiustamente condannata ad una damnatio memoriae voluta e ponderata. Studiando la genesi di questo personaggio, ho avuto modo di comprenderne meglio la portata rivoluzionaria, “scandalosa” per l’epoca in cui ha vissuto. È stato, oggettivamente, un uomo che ha scardinato i principali poteri costituiti (primo tra tutti il potere mafioso, molto più forte di quello statale in certe zone della Sicilia,) con il solo potere della cooperazione e dell’educazione. Uomini del genere vengono osteggiati ai giorni nostri, figuriamoci nella Sicilia degli anni ’50. Credo, dunque, che parlare poco di Danilo Dolci sia sempre stata una scelta non casuale. Oggi, finalmente, si sta cercando di riscattare questa figura e di riportarla alla luce, tra la gente, tra i siciliani in particolare, dov’è giusto che stia.

-Prima partivano i padri per la Merica, per la Germania, la Francia e l’Inghilterra, poi per Milano e per Torino. Oggi partono i figli con trolley computer e tablet per le università del nord… In Sicilia si parte sempre pur avendo la regione a Statuto Speciale…

La Sicilia è da sempre crocevia del Mediterraneo: siamo figli nati dall’incontro di una serie di culture che si sono susseguite e credo che questo sia sempre stato il nostro punto di forza. Col passare del tempo, però, la Sicilia è diventata anche Terra di partenze, spesso sofferte e anche dettate dalla rabbia. La questione dei mali che affliggono l’isola è annosa, fa parte della più generica “Questione Meridionale” e non credo sia questa la sede adatta per sgranare problema dopo problema. Mi limito, però, a dire che, almeno a parer mio, una delle colpe più grandi risiede proprio nel malgoverno di questa Regione che non ha mai saputo gestire né il territorio (con tutto ciò che la gestione di un territorio implica, compresa la cura nei confronti di chi lo abita), né la peculiarità dello Statuto Speciale che, nei fatti, ad oggi serve a ben poco se ci paragoniamo alle altre Regioni che godono della stessa caratteristica.

-La Sicilia dorme un sonno profondo e nessuno riesce a svegliarla. Mi sapresti dire il perché?

Perché è questo sonno che ci siamo abituati e, si sa, le abitudini sono dure a morire, difficili da combattere quando non si ha neanche il coraggio di ammetterle. Mi viene in mente il quadro del pittore spagnolo Goya, “Il sonno della ragione genera mostri”, che uso spesso per paragonare la situazione che si vive in Sicilia. Siamo come addormentati, abbandonati ad un sonno della nostra ragione che ha generato i peggiori mostri, tra cui cito solamente la mafia e l’incapacità di sognare e sperare. Siamo quasi tutti abbandonati all’idea che le cose non potranno cambiare mai e che l’unica cosa da fare è arrendersi. Cerco con tutta me stessa di oppormi a questa mentalità e provo, anzi, a scardinarla. Vorrei provare a farlo anche esercitando il mio diritto a restare nella mia Terra che amo, nonostante le sue difficoltà e la rabbia che a volte provo. “Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così”, diceva il giudice Falcone, ed io è ai siciliani come lui che voglio dare ascolto.

-Cosa ci vuole per cambiare la mentalità dei siciliani?

Serve un cambiamento radicale, nella politica, nella cultura e, soprattutto, nella mentalità del siciliano. Dobbiamo tornare a scoprire il valore della cooperazione, della solidarietà, uscire dallo stato di solipsismo ed egoismo che, purtroppo e sempre più spesso, tristemente ci contraddistingue. Dobbiamo tornare a pretendere i nostri diritti, ad esercitarli (mi viene da pensare al diritto di voto, troppo spesso dato per scontato), ad esigere che ci venga resitituita la speranza e finanche il diritto di sognare che questa Terra possa cambiare davvero. Ma non domani, non consegnando sempre tutto ai posteri, alle generazioni che verranno. Il cambiamento deve iniziare oggi, adesso, dobbiamo essere noi (chi resta, chi torna, chi studia e si forma) i suoi attivatori.

-Chi sono i tuoi registi di riferimento?

Come regista internazionale direi Nolan, come regista italiano non posso non citare Tornatore.

-Qual è l’ultimo film che hai visto al cinema?

L’ultimo film di animazione della Disney, “Elio”. L’ho trovato particolarmente commovente.

-Cosa pensi dei Maestri e delle Maestre della scuola elementare?

Penso che, un pò come tutti coloro che lavorano nel settore educativo, abbiano un ruolo fondamentale. Anzi, probabilmente il loro mestiere è ancora più importante: è tra i primi banchi di scuola che si esercita la capacità di stupirsi e mervigliarsi davanti alla bellezza, di inorridirsi per le cattiverie, di sperare. I Maestri e le Maestre della scuola primaria, un pò come Virgilio per Dante, sono i traghettatori dei bambini e delle bambine dall’infanzia all’adolescenza e, per questo motivo, assumono un’importanza straordinaria.

-Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Al momento voglio continuare a dedicare il mio tempo ai bambini e alle bambine dell’asilo nido in cui lavoro. Questo lavoro mi soddisfa, mi sento, anche in questo modo, parte di un cambiamento importante. Credo fermamente nel valore dell’educazione e della sensibilizzazione che possono e devono essere impartite sin da subito. E non voglio abbandonare lo studio da me intrapreso con la stesura della mia tesi di laurea: continuo e continuerò a studiare Danilo Dolci e la portata innovativa e rivoluzionaria del suo personaggio, cercando di mettere in pratica i suoi insegnamenti (come la maieutica reciproca).

Biografia

Alessi Fazzi, nasce a Ragusa e sin da piccola cresce in una famiglia che, da un punto di vista culturale, è stata la sua salvezza e la sua linfa più importante. L’attivismo, i dibattiti politici, i diritti umani, le storie di mafia e antimafia (e anche una bella dose di storia dell’arte) diventano subito la sua “culla”, permettendole di diventare la cittadina attiva, attenta ed informata che è diventata da grande. E, nell’ambito del Servizio Civile presso Confcooperative, che ha avuto modo di portare avanti un progetto sui beni confiscati alla mafia, ha cercato di diffondere proprio l’importanza di tematiche quali cittadinanza attiva, lotta alla mafia, possibilità di restare nel proprio territorio. In particolare, ha avuto la possibilità, insieme ai suoi responsabili, di creare e mettere in pratica un progetto dal titolo “Semi di Legalità”, presso le classi quarte di una scuola primaria, e un PCTO – ex alternanza scuola lavoro – sulla tematica della Legalità e della lotta alla mafia in un territorio difficile quale quello di Vittoria, in provincia di Ragusa.

Quanto al suo percorso di studi, potrebbe sembrare all’apparenza un pò strano. E’ laureata in Storia, Politica e Relazioni Internazionali per poi approdare ad un magistrale di Scienze della Formazione. Sembrano due mondi diversi, ma in realtà non lo sono. La sua aspirazione era quella di lavorare con i minori che vivono in condizione di disagio e di emarginazione sociale, a rischio devianza, criminalità e dispersione scolastica. Ha sempre creduto che se non c’è qualcuno che infonde speranza nei giovani, sempre più spesso capiterà loro di sbagliare. E a quel punto un sistema che lavora sulla punizione e non sulla prevenzione, è un sistema che ha fallito. Un sistema che non insegna a sognare (parafrasando Dolci e il suo “ciascuno cresce solo se sognato”), un sistema che ci spinge più a partire che a restare, è un sistema che va radicalmente cambiato. E da dove iniziare se non dall’educazione? E non è l’educazione anch’essa politica? Ecco che le sue due lauree trovano il loro punto di incontro. Ad oggi lavora come educatrice in un asilo nido, occupandosi dell’educazione dei più piccoli, essendo fermamente convinta che la sensibilizzazione debba iniziare da subito. Si trova a lavorare anche fuori dall’orario previsto per preparare tutto ciò che occorre per portare avanti le attività didattiche, dunque, il tempo che le rimane non è tantissimo. Cerca, però, di sfruttarlo al meglio dedicandosi spesso a passatempi per l’anima: legge, ascolta musica, guarda un film, cerca di condividere dei momenti ricchi e consistenti con la sua famiglia. E’ sempre stata molto sensibile anche al mondo del volontariato, pur avendolo dovuto accantonare negli ultimi anni.