Dopo alcuni anni sono tornato a Campobello di Licata per il festival “Questa terra è la mia terra”, insieme a Teresa Fiore docente della Montclair State University nel New Jersey e Laura Anello Presidente de Le vie dei Tesori. A Campobello ho avuto il piacere di conoscere molti giovani impegnati nel sociale: Carmelo Traina, Massimo Lo Leggio, Calogero Patti, Alessia Fazzi, Gaetano Gatì e molti altri che studiano nelle Università del nord. Il giornalista della Rai Onofrio Dispenza, presente a Campobello ha detto: “Il livello della manifestazione è alto, ed è interessante ascoltare le opinioni dei giovani, che vogliono cambiare la Sicilia che non si arrende”. Il festival è giunto alla sua terza edizione e si ispira alla nobile figura di “Giuseppe Gatì”, che ha scritto testualmente: “E’ arrivato il nostro momento, il momento dei siciliani onesti, che vogliono lottare per un cambiamento vero contro chi ha ridotto e continua a ridurre la nostra terra in un deserto, abbiamo l’obbligo morale di ribellarci”.Questa terra è la mia terra ed io la difendo e tu?” Del festival, dei giovani, della Sicilia, di Campobello di Licata, parliamo con Gaetano Gatì giovane brillante, co-fondatore del Centro Studi Giuseppe Gatì.
-Da quanto tempo esiste il Festival “Questa è la mia terra”
Il Festival è nato nel 2023 e quest’anno abbiamo organizzato la terza edizione.

-Perché vi partecipano così tanti giovani?
Sarà per via del format aperto alla discussione o per il tema che appassiona in particolare la fascia di giovani e giovanissimi. Quest’anno in particolare abbiamo assistito ad una grande presenza di ragazze e ragazzi tra i 18 e i 35 anni, e ognuno di loro ha cercato un motivo per “tornare, dopo aver studiato fuori” per “continuare a sviluppare la propria carriera al sud”. Inoltre, quest’anno, è stato anche un momento di forte condivisione e networking, immagino che anche questo porti diversi giovani ad avvicinarsi al Festival e al Centro Studi Giuseppe Gatì.
-Che cosa si propone questo appuntamento annuale?
La proposta è stata diversa in tutti e tre gli anni. Siamo partiti realizzando un Manifesto per il diritto a restare, che è stato creato con la collaborazione di oltre 250 partecipanti. Il secondo anno, invece, è stata presentata la prima ricerca fatta dal Centro Studi,“Terra di Futuro”, con la quale abbiamo sottolineato l’urgenza del tema corroborata dal fatto che, solo il 7% degli oltre 1300 liceali intervistati – nella provincia di Agrigento – sceglierebbe di rimanere in Sicilia per proseguire la propria vita accademica e lavorativa. Quest’anno, invece, abbiamo portato i partecipanti a ragionare su una vera e propria proposta di politica pubblica al fine di promuoverla, presso le istituzioni, grazie ad un apposito Comitato.
-Come reagisce la comunità di Campobello di Licata a questa importante iniziativa?
Seppur organizzato a Campobello vediamo che negli anni c’è sempre una maggiore presenza di persone provenienti anche da comuni distanti diversi km. Dal mio punto di vista posso affermare, che Campobello di Licata si mobilita attivamente durante questa manifestazione ed in particolare le realtà associative, che ci danno una mano nell’organizzazione, nella logistica e nell’ospitalità che riserviamo a chi viene da fuori. Quest’anno in particolare, la comunità del Forno Popolare Sante Caserio ci ha permesso di organizzare una parte dell’accoglienza presso i loro spazi. Inoltre, diverse realtà imprenditoriali ci hanno aiutato donando cibo e bevande che sono stati distribuiti agli oltre 150 ospiti presenti. In tutto ciò ho notato, soprattutto quest’anno, come sia virtuosa la collaborazione intergenerazionale avvenuta nei due-giorni di festival.

-Perché i giovani che hanno una laurea in materie scientifiche dovrebbero rimanere in Sicilia, se non hanno sbocchi professionali specifici?
Credo, che questa sia una domanda da porre sia a chi ha una laurea in scienze biomediche sia a chi ne ha una in lettere classiche. La nostra terra purtroppo risente di una mancanza di sbocchi lavorativi adeguati a 360°. Il tema, a mio avviso, sarebbe quello di superare una logica a compartimenti stagni, per ragionare insieme sulle opportunità ulteriori che può offrire questo territorio. Durante le giornate di discussione ho visto porre l’accento sul recupero delle aree interne o sullo sviluppo di una strategia per l’utilizzo di spazi e risorse, che va oltre a ciò, che viene insegnato nei corsi universitari. Probabilmente la sfida sistemica è quella di superare un po’ noi stessi e cercare il modo di realizzare le nostre opportunità, anche con un po’ di creatività. In questo senso, il fatto che un’Università come la LUMSA sia partner accademico dell’iniziativa mi fa ben sperare, perché vuol dire che anche il mondo accademico sta ragionando su questo tema offendo strumenti e spunti per una riflessione congiunta.
-Dove sta andando la Sicilia: tra il bluff del ponte sullo stretto e la mancanza di servizi e beni essenziali?
Difficile riflettere su dove stia andando la Sicilia. Quello che mi chiederei è “dove stanno andando i siciliani”. Molti fuori, giovani e meno giovani, alcuni dei quali anche al di là dei confini nazionali. In un mondo in cui tutti indossano il cappello dell’esperto, sento di dire che non ho gli strumenti per capire se il Ponte sia o meno un asset in grado di rivoluzionale questa terra. So però, che il nostro territorio vive la competizione globale con armi arrugginite e spuntate, se da una parte il mondo affronta i tempi della robotica o dell’AI da noi d’estate, e non solo, arriva l’acqua in casa con le autobotti. Direi, che questo è già abbastanza per poter dire che la scelta di tornare o restare debba essere mossa prima di tutto da pazzia, mista a coraggio. Va da sé, che in queste condizioni la Sicilia rischia di giocare un campionato a ribasso tutto suo e probabilmente senza concorrenti.
-I giovani emigrati con il trolley vorrebbero tornare in Sicilia per cambiarla, ma non sempre ciò è possibile. Stiamo arricchendo le città del nord?
Non credo nella narrativa del sud che arricchisce il nord. I meridionali partono, sono partiti e partiranno per arricchire prima di tutto sé stessi. Così come noi siamo andati via. Prima per migliorare noi stessi accedendo a mondi ed esperienze nuove, universitarie e non solo, poi per accedere al mondo del lavoro. Questo arricchisce le città del nord? È possibile, ma arricchisce anche chi ci vive e ci lavora e non parlo solo in termini economici. Penso, che tornare o rimanere sia prima di tutto una scelta di coraggio, viste le minori opportunità rispetto al nord (Italia e soprattutto Europa). Oggi, grazie al progetto “Questa è la mia terra” e al Centro Studi “Giuseppe Gatì” vogliamo provare a dare una struttura a queste scelte, provando ad accompagnare al coraggio anche l’opportunità laddove ci possa essere.

-Cosa rappresenta Giuseppe Gatì per Campobello di Licata e in generale per i siciliani? E perché i siciliani non conoscono questo personaggio? Qual è l’attualità del suo pensiero? Ci sono delle pubblicazioni su Giuseppe?
Giuseppe per Campobello di Licata è una figura che ha rappresentato un movimento e un attivismo che forse è scemato man mano negli anni. Il ricordo del suo funerale è ancora vivo in molti di noi che rivedono quella Piazza XX Settembre gremita come poche altre volte. Piena di gente che ricordava quella figura che aveva da poco contestato Vittorio Sgarbi e che aveva deciso di rimanere nel suo paese dando tutto, anche la vita. A causa del lassismo che purtroppo spesso ci contraddistingue e che l’ha folgorato mentre raccoglieva il latte per la sua produzione casearia. Credo, che sia poco conosciuto perché la sua è stata derubricata come “morte sul lavoro” dimenticando quanto di bello aveva fatto in vita: un blog, le poesie, gli scritti, l’attivismo. Tutte attività che meritano d’essere raccontate e che noi come Centro Studi ci proponiamo di raccontare durante le nostre iniziative. Giuseppe oggi è ricordato in fumetto da Carlo Gubitosa e Kanjano, pubblicato dall’Ass. Culturale Altrainformazione e, nella sua Campobello,con la dedica dell’anfiteatro cittadino. Uno dei luoghi che frequentava quando era in vita.
-Quali sono le tue passioni quando non lavori?
Al di là del progetto del Centro Studi e del Festival, che occupa gran parte del mio tempo libero, sono un discreto appassionato di ciclismo amatoriale e ciclo-turismo.
-Chi è il tuo scrittore preferito?
Lo scrittore spagnolo Carlos Ruiz Zafón.
-Qual è l’ultimo film che hai visto al cinema?
C’è ancora domani del 2023 diretto e interpretato da Paola Cortellesi, al suo debutto alla regia.

-Come vedi tutta questa violenza contro le donne?
Purtroppo, non me lo so spiegare. Penso, che sia una deriva educativa che supera il tema della violenza sulle donne e che ci riporta alla violenza in ogni luogo: in coda nel traffico, negli ospedali, nelle scuole. Temo, che nel momento in cui noi come società abdichiamo ad un ruolo, in questo caso l’educazione, qualcuno lo prende e lo fa suo. La violenza ha preso questo spazio diventando uno strumento di sopraffazione, che colpisce tutti ed in primis le donne.
-Cosa cambierà nel prossimo incontro di “Questa è la mia terra”?
È ancora presto per dirlo. Ci stiamo riprendendo “dall’ubriacatura” di questa edizione, stiamo ragionando su cosa è andato bene e cosa può essere migliorato per gettare le basi di una prossima edizione nel 2026.
-Perché ai giovani del nostro Paese non viene dato lo spazio che meritano?
Mi chiederei se i giovani vogliono questo spazio e se questo “spazio” sia quello che intendiamo noi. Vedo che tra me, che ho 31 anni, e ragazzi di 18-20 anni cambia un mondo. Il sociale è diventato social e questo ricade anche sul concetto di spazio. Spazio nel dibattito pubblico? Spazio nell’area politica? Sono tutti “spazi” che forse potrebbero non interessare più, perché lontani dal concetto di socialità, che si è già creata da 15 anni a questa parte. Basti vedere un po’ di statistiche per capire il calo d’interesse verso la politica (e non intendo partitica) o l’affluenza sempre più ridotta alle urne, soprattutto, delle fasce più giovani. In tutto ciò l’Italia è uno degli stati più vecchi al mondo, potrei lanciare una provocazione, dicendo che se le elezioni non si vincono sui giovani, che senso ha inserirli nelle priorità di Governo. Comunque, battute a parte, penso che si debba fare sistema e se questo è un tema che veramente interessa, i “giovani” hanno tutti gli strumenti per organizzarsi e ottenere ciò che vogliono, se è così.

-Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Diventare grande.
BIOGRAFIA
Gaetano Gatì, 31 anni, è co-fondatore del Centro Studi “Giuseppe Gatì” e promotore del festival “Questa è la mia terra ed io la difendo”, nato per difendere il diritto a restare e contrastare lo spopolamento delle aree interne del Mezzogiorno. Laureato in Giurisprudenza a Roma, ha conseguito un Master presso la Sole24Ore Business School. Dopo un’esperienza a Bruxelles, si è trasferito a Roma dove lavora nel settore farmaceutico occupandosi di relazioni istituzionali e politiche sanitarie.






